Considerato in diritto

(Corte costituzionale - 337 - n° 8 del 19 ottobre 2001)

1. - La questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 10, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Lombardia investe diverse norme della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), ed in particolare, l'art. 3, commi 4, 5 e 6; gli artt. 6, 65, 66, 68, commi 1, 2, 3, 4, 5, 7 e 9 e l'art. 71.

Attesa la sostanziale eterogeneità sia delle norme censurate che, sia pure in misura minore, dei parametri costituzionali evocati, la complessa questione va esaminata partitamente.

2. - L'art. 3 della legge n. 448 del 1998 viene censurato nella parte in cui, al fine di incentivare la occupazione nel Mezzogiorno, prevede:

al comma 4, la proroga e l'incremento degli sgravi contributivi già applicabili, in forza dell'art. 4, commi 17 e 18, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), nelle regioni meridionali per i lavoratori occupati alla data del 1 dicembre 1997;

al comma 5, che i datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici operanti nelle Regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna, possano godere, relativamente alle nuove assunzioni, tali da incrementare il numero delle unità effettivamente occupate rispetto al 31 dicembre 1998, effettuate, limitatamente all'Abruzzo ed al Molise, nell'anno 1999 e, per le altre regioni, anche negli anni 2000 e 2001, della totale esenzione, per un periodo di tre anni dalla avvenuta assunzione, dai contributi INPS sulle retribuzioni dei nuovi assunti;

al comma 6 le puntuali condizioni per poter accedere ai benefici di cui al predetto comma 5.

Le norme in questione, secondo la Regione Lombardia, sarebbero lesive dell'art. 3 della Costituzione per la disparità di trattamento che verrebbero a determinare fra le regioni del nord e quelle del Mezzogiorno, risultando le prime pregiudicate sia a causa dello spostamento di attività produttive verso altre parti della Nazione sia dal fatto che gli sgravi contributivi previsti dalle disposizioni censurate, non connessi ad una riduzione effettiva del costo del lavoro, finirebbero per pesare sulla fiscalità generale e, di conseguenza, anche sulla Regione Lombardia e sui cittadini in essa residenti.

Nella memoria illustrativa depositata in prossimità della udienza pubblica la ricorrente ha precisato che la censura viene altresì formulata, in riferimento all'art. 10 della Costituzione, in relazione agli artt. 92 e 93 del trattato che istituisce la comunità economica europea, firmato il 25 marzo 1957, reso esecutivo con legge 14 ottobre 1957, n. 1203, ed alle decisioni della Commissione delle comunità europee del 2 marzo 1988 e del 1 marzo 1995.

2.1. - La questione è inammissibile, con riferimento ad ambedue i parametri evocati.

2.2. - Quanto al secondo, a parte la circostanza che, come risulta dalla nota, acquisita in atti, del 10 agosto 1999, n. prot. SG(99) D/6511, la stessa Commissione europea (alla cui autorizzazione, secondo quanto previsto al comma 7 dell'art. 3 della legge n. 448 del 1998, è espressamente subordinata la efficacia delle disposizioni contenute nei precedenti commi 4 e 5), ha ritenuto che il regime degli aiuti in questione è compatibile con la disciplina comunitaria, basti osservare - al di là dell'evidente imprecisione in cui è incorsa la difesa della ricorrente indicando come parametro di riferimento, invece dell'art. 11 della Costituzione, norma che fornisce copertura costituzionale al diritto comunitario (cfr. sentenza n. 85 del 1999), l'art. 10 della Costituzione, norma che si riferisce esclusivamente al diritto internazionale generalmente riconosciuto - che la censura non può essere presa in considerazione in quanto è stata compiutamente formulata solamente in sede di memoria difensiva e, pertanto, tardivamente (cfr. sentenza n. 382 del 1999).

2.3. - Quanto al primo si rileva che questa Corte ha in varie occasioni avuto modo di precisare che, sebbene in linea di principio le regioni possano denunziare la violazione anche di norme costituzionali poste al di fuori del Titolo V della Parte II della Costituzione, ciò può, tuttavia, avvenire solo se ed in quanto tale violazione comporti una incisione delle competenze costituzionalmente assegnate alle regioni medesime (cfr. sentenza n. 373 del 1997).

Circostanza quest'ultima nella specie non ravvisabile, atteso che la Regione Lombardia si limita a denunziare, peraltro in maniera piuttosto generica, una pretesa disparità di trattamento in materia di costi previdenziali fra i datori di lavoro di talune regioni meridionali e gli altri datori di lavoro, senza indicare, sia pure a livello di mera allegazione, la lesione di una qualsivoglia competenza, legislativa od amministrativa, propria della Regione ricorrente.

3. - La censura rivolta, in riferimento all'art. 119 della Costituzione, all'art. 6 della legge n. 448 del 1998 concerne specificamente la parziale modifica, disposta dal comma 2 della norma impugnata, dei principi e dei criteri, contenuti nell'art. 3, comma 147 della legge n. 662 del 1996 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), cui deve essere ispirata la disciplina transitoria da predisporsi al fine di garantire la graduale sostituzione del gettito prodotto dai tributi soppressi in occasione della istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive.

In particolare, la ricorrente, riferite le altre modifiche apportate al regime transitorio, lamenta che, per effetto della norma impugnata, sia stato introdotto nel comma 147 dell'art. 3 della legge n. 662 del 1996 una ulteriore lettera e-bis) avente il seguente tenore: «il gettito dell'IRAP, ai fini della determinazione del fondo sanitario di cui alla lettera d) e delle eccedenze di cui alla lettera e) viene ricalcolato considerando l'aliquota base di cui al comma 144, lettera e)».

Ritiene la Regione Lombardia che in conseguenza di tale modifica - a differenza di quanto originariamente previsto dalla lettera d) dell'art. 3, comma 147, della legge n. 662 del 1996 - le dotazioni proprie del Fondo sanitario e le eccedenze dovute allo Stato verrebbero calcolate con riferimento ad un parametro maggiore costituito dall'intero gettito dell'IRAP e non più da una percentuale di esso, come previsto dalla disposizione ultima citata.

Da ciò la ricorrente fa derivare l'ulteriore conseguenza che, per un verso, l'aumento della dotazione propria della regione comporterebbe, quale effetto indotto, la diminuzione dei trasferimenti statali destinati a finanziare il servizio sanitario regionale e, per altro verso, che si determinerebbe un più elevato ammontare delle eccedenze che le regioni debbono, secondo quanto previsto dalla lettera e) dell'art. 3, comma 147, della legge n. 662 del 1996, riversare allo Stato.

3.1. - La censura, così sintetizzata, è inammissibile.

3.2. - Invero, la ricorrente si limita a lamentare che, per effetto del descritto meccanismo, le regioni vedrebbero ridotte le loro complessive disponibilità finanziarie a causa, a quanto è dato intendere, di minori rimesse statali e di maggiori fondi in eccedenza da dover restituire allo Stato.

Dato e non concesso che l'effetto della modifica normativa sia quello lamentato dalla ricorrente, questa Corte, con riferimento al tema della autonomia finanziaria regionale, garantita dall'art. 119 della Costituzione, ha in più occasioni statuito che la legge fondamentale non garantisce alle regioni una determinata quantità di risorse, ma solo il diritto di disporre di risorse finanziarie che risultino complessivamente non inadeguate rispetto ai compiti loro attribuiti (cfr., da ultimo, sentenza n. 507 del 2000).

In altre parole, la autonomia finanziaria regionale ha valenza strumentale, e la sua tutela entra in gioco in quanto, per effetto della violazione del relativo principio, venga in concreto meno la possibilità per la regione di attuare le sue prerogative di autonomia legislativa ed amministrativa.

In proposito, la Regione ricorrente non solo non fornisce alcuna dimostrazione della effettività del meccanismo denunziato (cioè in ordine alla reale diminuzione della sua complessiva disponibilità finanziaria), ma, e questo è il dato che determina la inammissibilità della censura proposta, neppure ipotizza che, per effetto della pretesa riduzione di tale disponibilità, essa si troverebbe a godere di una dotazione non più congrua e comunque non sufficiente per l'espletamento dei compiti che le sono affidati.

4. - Gli artt. 65 e 66 della legge n. 448 del 1998 vengono impugnati in base ad argomenti coincidenti, sicchè l'esame delle relative censure può, questa volta, essere unitariamente condotto.

Lamenta la ricorrente che il citato art. 65, nel prevedere la concessione di benefici economici in favore dei nuclei familiari composti da cittadini residenti, aventi tre o più figli minorenni e con determinate condizioni di reddito, disponga che il beneficio sia (nell'originario testo) «erogato dai comuni», i quali hanno altresì il compito di informare la cittadinanza sulla disponibilità dei predetti benefici.

Tale disposizione viene ritenuta in contrasto con gli artt. 117, 118 e 97 della Costituzione, in quanto lesiva delle attribuzioni regionali in materia di servizi sociali, così come riconosciute dal d.lgs 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).

Premesso, infatti, che l'art. 128 del citato decreto legislativo fornisce una definizione dei «servizi sociali» nell'ambito della quale rientra la erogazione degli assegni in questione, la ricorrente fa presente che, secondo quanto previsto dall'art. 131 dello stesso decreto legislativo, «tutte le funzioni ed i compiti amministrativi nella materia dei servizi sociali» sono conferiti alle regioni ed agli enti locali, mentre, a mente del successivo art. 132, il trasferimento, o la delega, di funzioni in siffatta materia da parte delle regioni in favore degli enti locali deve intervenire, nei sei mesi successivi alla emanazione del d.lgs. n. 112 del 1998, attraverso la adozione di apposite misure di legislazione regionale.

La norma impugnata, viceversa, attribuendo direttamente i ricordati compiti ai comuni, risulterebbe, secondo la ricorrente, in aperto contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione a quanto previsto, appunto, dal ricordato d.lgs n. 112 del 1998, la cui disciplina integra, in quanto norma interposta, il parametro costituzionale.

Analogo discorso vale per l'art. 66 della legge n. 448 del 1998, il quale (nel testo originario) dispone la possibilità per i comuni di erogare in favore delle madri di figli nati successivamente al 1 luglio 1999 le quali si trovino in determinate condizioni di reddito, un assegno in danaro per un periodo di tempo non superiore a cinque mesi.

Anche in questo caso, come nel precedente, la Regione Lombardia lamenta la violazione di una competenza attribuitale, attraverso il d.lgs. n. 112 del 1998, dagli artt. 117 e 118 della Costituzione.

4.1. - La censura è in ambedue i casi inammissibile.

4.2. - Va, preliminarmente, rilevato che successivamente alla proposizione del ricorso le due norme impugnate sono state oggetto di una modifica, che non è, tuttavia, tale da giustificare la sopravvenuta cessazione della materia del contendere sul punto; infatti, con l'art. 50 della legge 17 maggio 1999, n. 144 (Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e della normativa che disciplina l'INAIL, nonchè disposizioni per il riordino degli enti previdenziali), le due norme sono state novellate nel senso di attribuire ai comuni il potere di «concedere» i detti benefici, la cui materiale erogazione è ora di competenza dell'Istituto nazionale della previdenza sociale.

4.3. - Ciò posto, osserva questa Corte che la censura formulata dalla Regione Lombardia si fonda sull'assunto che il d.lgs. n. 112 del 1998, in quanto adottato in attuazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, ne mutua la valenza costituzionale, potendo, quindi, essere apprezzato quale parametro di legittimità di disposizioni legislative ad esso successive.

Tale assunto è infondato.

Invero, come già affermato da questa Corte in relazione ad altra norma legislativa avente analoga finalità di conferire alle regioni la competenza su funzioni proprie dello Stato - si trattava del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382) -, la circostanza, allegata dalla ricorrente, che il d.lgs. n. 112 del 1998 sia con la Costituzione in rapporto di immediata attuazione non ha alcuna influenza sulla determinazione del rango o del valore formale delle disposizioni in esso contenute, tanto che queste ultime, per un verso, non possono fungere da parametro nei giudizi di legittimità costituzionale e, per altro verso, ben possono essere derogate da leggi successive che diversamente ripartiscano, come nel presente caso, fra enti locali delle competenze delegate od assegnate alle regioni (cfr. sentenza n. 85 del 1990).

5. - Ulteriore questione viene sollevata dalla Regione Lombardia riguardo ai commi 1 e 2 dell'art. 68 della legge n. 448 del 1998, in riferimento all'art. 119 della Costituzione, in relazione all'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), ed all'art. 11 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421).

Osserva la ricorrente che per effetto delle disposizioni censurate, le quali prevedono l'esenzione dal pagamento della quota fissa (ticket) per le ricette relative alle prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio nonchè per le prescrizioni diagnostiche e specialistiche inerenti la certificazione di idoneità per il servizio civile presso ente convenzionato con il Ministero della difesa, sarebbe pregiudicata la autonomia finanziaria della regione, poichè, nei fatti, ne verrebbero ridotte le entrate.

5.1. - La censura è inammissibile.

Come già osservato, in tanto la riduzione di entrate in favore dell'ente locale, determinata in conseguenza di un intervento legislativo statale, ha rilievo, sotto il profilo della violazione della autonomia finanziaria regionale, in quanto, a causa della diminuita disponibilità, la regione non possa adeguatamente fare fronte alle attività di sua competenza.

Peraltro l'orientamento di questa Corte è fermo nel rilevare che non vi è violazione costituzionale allorchè, in occasione di manovre di finanza pubblica, quale è quella complessivamente realizzata con legge n. 448 del 1998, si determinino, per effetto di innovazioni legislative statali, riduzioni nella disponibilità finanziaria delle regioni, purchè esse non siano tali da comportare uno squilibrio incompatibile con le esigenze complessive della spesa regionale (cfr., fra le più recenti, sentenza n. 138 del 1999).

Nel presente caso, non solo tale squilibrio non è neppure allegato, limitandosi la ricorrente a lamentare genericamente la riduzione delle entrate, ma è da escludersi posto che, come osservato dalla difesa dello Stato e non contestato da quella della ricorrente, alla riduzione delle entrate si associano, per altra via, dei risparmi di spesa tali, ad ogni modo, da compensare la detta riduzione.

6. - L'art. 68 della legge n. 448 del 1998 viene, altresì, impugnato dalla ricorrente, con riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione all'art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, nella parte in cui, ai commi 3, 4, 5, 7 e 9, rispettivamente:

(ai commi 3 e 4) intervenendo sull'art. 36 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica) attraverso l'inserimento di un nuovo periodo nel comma 16 e di un ulteriore comma, denominato 16-bis detta la disciplina concernente i criteri di determinazione della eccedenza della spesa farmaceutica rispetto alla previsione annuale nonchè i criteri per l'individuazione dell'ammontare della quota di questa che le imprese titolari della autorizzazione alla immissione in commercio dei farmaci, le imprese distributrici e le farmacie, pubbliche e private, aperte al pubblico sono tenute a versare allo Stato;

(al comma 5) attribuisce alla Commissione prevista dall'art. 36, comma 16, della legge n. 449 del 1997 il compito, in una prima fase, di proporre al Ministro della sanità l'adozione di misure idonee al contenimento ed alla riduzione della spesa farmaceutica per l'anno 1999 e, successivamente, di verificare il raggiungimento degli obbiettivi in questione;

(al comma 7) istituisce, in seno al Ministero della sanità, l'Osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali, attribuendo a tale organismo il compito di raccogliere dati sull'impiego dei medicinali, di svolgere i compiti già attribuiti all'osservatorio centrale degli acquisti e dei prezzi ed, infine, di redigere un rapporto annuale, indirizzato al Ministro della sanità, volto a confrontare l'andamento della spesa farmaceutica erogata dal servizio sanitario nazionale con quello della spesa erogata con sistemi alternativi e relativa ai farmaci somministrati direttamente in ambito ospedaliero;

(al comma 9) stabilisce l'obbligo per le farmacie di fornire al Ministero della sanità i dati di vendita dei medicinali dispensati con onere a carico del servizio sanitario nazionale.

Lamenta la ricorrente che, in base alle illustrate disposizioni, le regioni sarebbero totalmente estromesse sia dal procedimento di calcolo delle eccedenze della spesa sanitaria (rectius: farmaceutica) sia dal calcolo dei contributi dovuti dai produttori e dai distributori di farmaci ai fini della copertura di tale eccedenza.

Osserva, infatti, la ricorrente che, a fronte delle ampie competenze attribuite alle regioni dall'art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992, la disciplina in questione prevede esclusivamente che queste siano tenute a trasmettere al Ministero della sanità i dati relativi alla vendita dei farmaci erogati con onere a carico del servizio sanitario nazionale; ciò, si afferma nel ricorso, in violazione del principio, generale nella materia assistenziale e sanitaria, in base al quale le regioni devono essere in condizione di ottenere tutte le informazioni relative alla materia de qua e non possono essere estromesse in favore dell'amministrazione centrale.

La censura, come articolata, è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che, per effetto della intervenuta abrogazione, ad opera dell'art. 85, comma 31, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -legge finanziaria 2001), sia del secondo e terzo periodo del comma 16 dell'art. 36 della legge n. 449 del 1997 che dell'intero comma 16-bis della medesima disposizione legislativa, non è più in vigore il complesso meccanismo normativo relativo al contributo dovuto dalle imprese produttrici e distributrici di farmaci allo Stato per il parziale ripianamento della eccedenza della spesa farmaceutica, nonchè per la individuazione delle singole quote dovute.

Tale circostanza non esclude, tuttavia, che perduri, per il periodo anteriore alla intervenuta abrogazione, un interesse alla decisione sulla questione sollevata dalla Regione Lombardia. Osserva questa Corte che, in sostanza, la Regione ricorrente lamenta che, attraverso la normativa denunziata, siano state lese le «ampie competenze attribuite alla Regione dall'art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992».

A parte i rilievi sulla pertinenza del riferimento normativo, atteso che la norma indicata riguarda i rapporti fra le farmacie, pubbliche e private, ed il Servizio sanitario nazionale, prescrivendo che gli stessi siano disciplinati da convenzioni di durata triennale che tengano conto dei principi indicati nelle lettere a) b) e c) dello stesso comma 2 del predetto art. 8, la norma che si assume violata è, anche in questo caso, una norma di rango ordinario, tale quindi da non giustificare, in caso di modificazione da parte di altra norma successiva, il giudizio di costituzionalità della legge sopravvenuta.

7. - Infine, la ricorrente Regione censura l'art. 71 della legge n. 448 del 1998, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), all'art. 2 del d.lgs. n. 502 del 1992 ed all'art. 114 del d.lgs. n. 112 del 1998.

Tale norma prevede lo stanziamento di somme di danaro per interventi di riqualificazione della assistenza sanitaria nei grandi centri urbani, da individuarsi, su proposta del Ministro della sanità, dalla Conferenza unificata Stato-regioni e province autonome e Stato-città, tenendo in particolare considerazione le zone centro-meridionali della Nazione.

Ad avviso della ricorrente sarebbe lesiva delle sue attribuzioni la circostanza che nella individuazione di tali interventi venga concesso un ampio spazio ai comuni, i quali debbono essere sentiti nella fase di elaborazione dei progetti; sono rappresentati dalla Associazione nazionale comuni d'Italia nella istruttoria volta alla realizzazione dei medesimi interventi; possono, decorso il termine per la presentazione dei progetti di intervento da parte delle regioni, sostituirsi ad esse e presentarne di propri.

La norma viene altresì censurata in relazione al «coinvolgimento» della Conferenza unificata Stato-regioni e Stato-città sia nella fase di individuazione dei grandi centri urbani potenzialmente idonei ad essere destinatari degli interventi, sia nella fase relativa alla scelta dei progetti meritevoli di finanziamento, cioè in questioni ritenute essenzialmente di spettanza regionale.

7.1. - La questione, sotto il duplice profilo prospettato, è infondata.

7.2. - Invero, quanto alla asserita illegittimità costituzionale del «coinvolgimento» della Conferenza unificata Stato-città e Stato-regioni nella attività istruttoria volta alla individuazione delle sedi ove realizzare gli interventi di riqualificazione e riorganizzazione della assistenza sanitaria di cui al comma 1 della norma censurata, basti rilevare, secondo l'orientamento ancora di recente ribadito da questa Corte (cfr. sentenza n. 408 del 1998), che è frutto della discrezionalità del legislatore, non in contrasto con la Costituzione, la attivazione della Conferenza unificata Stato-regioni e Stato-città quale strumento di raccordo fra il Governo e il sistema delle autonomie ogniqualvolta siano in discussione temi che coinvolgano interessi comuni vuoi delle regioni, vuoi degli enti locali.

Peraltro, le concrete modalità di funzionamento della Conferenza unificata tutelano adeguatamente la posizione delle regioni, posto che nell'organismo unificato non vi è la totale compenetrazione fra la Conferenza Stato-regioni e quella Stato-città, che, anzi, rimangono organismi fra loro ben distinti, come è chiaramente indicato dalla previsione contenuta nell'art. 9, comma 4, della legge n. 281 del 1997, secondo la quale, ai fini delle deliberazioni di competenza, l'assenso della Conferenza unificata è assunto attraverso il consenso distinto dei membri dei due gruppi delle autonomie che compongono le due Conferenze.

Nessun dubbio, infine, che la materia di cui si sta trattando sia tale da coinvolgere gli interessi sia delle regioni sia degli altri enti locali rappresentati nella conferenza unificata, posto che essa concerne la realizzazione di interventi di riorganizzazione e riqualificazione sanitaria nei grandi centri urbani.

7.3. - Quanto, infine, al profilo relativo alla attribuzione di compiti ai comuni ed alla loro associazione esponenziale (ANCI) nella fase propositiva ed istruttoria degli interventi in questione, osserva questa Corte che, con riferimento alla possibilità per i comuni di presentare propri progetti di intervento, essa non è lesiva di competenze regionali, posto che tale possibilità, peraltro prevista limitatamente ai comuni già individuati dalla Conferenza unificata, entra in giuoco solo se la singola regione abbia omesso - nel termine fissato e previa intesa legislativamente prevista con la Conferenza Stato-regioni con decreto del Ministro della sanità - di presentare un suo progetto.

Relativamente all'obbligo delle regioni di elaborare i propri progetti di intervento avendo prima proceduto alla audizione dei comuni interessati, non vi è poi alcuna lesione di competenze costituzionalmente garantite, in quanto il compito di formulare i progetti in questione rimane riservato alle regioni stesse.

Quanto, da ultimo, alla partecipazione dell'ANCI alla commissione cui è demandato lo svolgimento della istruttoria sulla base della quale, in un momento successivo, saranno individuati dal Ministro della sanità, d'intesa con la Conferenza unificata, i progetti di intervento ammessi al finanziamento pubblico, anche in questo caso la censura va respinta in quanto la partecipazione nella fase istruttoria di tutte le soggettività pubbliche interessate alla successiva decisione è ben lungi dal ledere alcuna competenza regionale.