(Corte costituzionale - 181 - 20 aprile/5 maggio 2006)
1. - Vengono all'esame della Corte cinque ricorsi, uno dei quali - il primo in ordine cronologico (reg. ric. n. 74 del 2004) - proposto dalla Regione Toscana, gli altri quattro (reg. ric. nn. 4, 30, 53 e 64 del 2005) dal Presidente del Consiglio dei ministri.
1.1. - Con il primo di essi è censurato l'art. 2-septies, comma 1, del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2004, n. 138, con cui il legislatore statale ha modificato - eliminando "il principio della irreversibilità che caratterizzava il rapporto esclusivo dei dirigenti sanitari" - il comma 4 dell'art. 15-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), ed ha disposto che "la non esclusività del rapporto di lavoro non preclude la direzione di strutture semplici o complesse".
L'impugnativa dello Stato, simmetricamente, ha investito altrettante leggi delle Regioni Toscana (reg. ric. n. 4 e n. 53 del 2005), Emilia-Romagna (reg. ric. n. 30 del 2005) ed Umbria (reg. ric. n. 64 del 2005), tutte egualmente censurate nelle rispettive disposizioni - l'art. 1 della legge regionale della Toscana 22 ottobre 2004, n. 56, recante "Modifiche alla legge regionale 8 marzo 2000, n. 22 (Riordino delle norme per l'organizzazione del servizio sanitario regionale)"; l'art. 59 della successiva legge regionale della Toscana 24 febbraio 2005, n. 40 (Disciplina del servizio sanitario regionale), che riproduce il contenuto dell'art. 1 della legge n. 56 del 2004 (norma abrogata proprio dalla legge n. 40 del 2005); l'art. 8, comma 4, della legge regionale dell'Emilia-Romagna 23 dicembre 2004, n. 29 (Norme generali sull'organizzazione ed il funzionamento del servizio sanitario regionale); l'art. 1 della legge regionale dell'Umbria 23 febbraio 2005, n. 15 (Modalità per il conferimento di incarichi di struttura nelle Aziende sanitarie regionali) - le quali stabiliscono che gli incarichi di direzione di struttura, semplice o complessa, del Servizio sanitario regionale implicano il rapporto di lavoro esclusivo previsto all'art. 15-quater, commi 1, 2 e 3 del già citato d.lgs. n. 502 del 1992 (è il caso delle disposizioni contenute nelle leggi regionali della Toscana e dell'Umbria), ovvero che il rapporto di lavoro esclusivo operi come "criterio preferenziale per il conferimento ai dirigenti sanitari degli incarichi di direzione" presso le medesime strutture (è quanto stabilito dalla legge regionale della Emilia-Romagna).
1.2. - Inoltre, con due dei quattro ricorsi (reg. ric. n. 30 e n. 53 del 2005), il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto ulteriori questioni di legittimità costituzionale.
1.2.1. - Sono impugnati, da un lato (reg. ric. 30 del 2005), gli artt. 2, comma 1, lettera b), e 8, comma 3, della legge regionale dell'Emilia-Romagna n. 29 del 2004, i quali stabiliscono, l'uno, che "la costituzione di Aziende Ospedaliere è disposta dalla Regione previa valutazione di complessità dei casi trattati", l'altro, che "l'attribuzione dell'incarico di direzione di struttura complessa ai dirigenti sanitari" venga effettuata dal direttore generale "sulla base di una rosa di tre candidati".
1.2.2. - Dall'altro, e conclusivamente, l'impugnativa statale (reg. ric. n. 30 del 2005) ha investito l'art. 139 della legge regionale della Toscana n. 40 del 2005, secondo cui gli organi dell'Agenzia regionale di sanità, di cui al precedente art. 82, "in carica al momento dell'entrata in vigore della (stessa) legge, restano in carica fino all'entrata in vigore della legge di revisione dell'ARS".
2. - Preliminarmente, deve essere disposta la riunione, ai fini di una unica pronuncia, dei giudizi che traggono origine dai cinque ricorsi innanzi indicati, stante la loro connessione oggettiva.
Sempre in via preliminare deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione all'impugnazione dell'art. 1 della legge della Regione Toscana n. 56 del 2004, attesa l'abrogazione di tale norma da parte della successiva legge regionale n. 40 del 2005 (art. 144, comma 1, lettera f), legge il cui art. 59, del pari impugnato, riproduce il contenuto dell'abrogata disposizione.
Ciò premesso, occorre illustrare - per i singoli gruppi di questioni - le diverse censure di incostituzionalità formulate, procedendo - secondo lo stesso ordine - al loro scrutinio.
3. - Per quanto concerne, in particolare, le questioni aventi ad oggetto tanto l'art. 2-septies, comma 1, del decreto-legge n. 81 del 2004, che le norme regionali, sopra individuate, le quali incidono sul conferimento degli incarichi di direzione delle strutture sanitarie, la specularità degli argomenti sviluppati dalle parti, e in special modo dall'Avvocatura generale dello Stato (nel difendere la legittimità costituzionale della norma statale e nel censurare, all'opposto, le disposizioni regionali), consente la loro illustrazione unitaria, il cui fulcro è costituito dall'individuazione della materia nella quale trovano collocazione le predette disposizioni, e che costituirebbe titolo idoneo - secondo le contrapposte prospettazioni delle parti - a legittimare l'intervento legislativo statale o regionale.
3.1. - Tale materia è identificata, segnatamente, dalla Regione Toscana, in quella della "organizzazione degli enti non statali e non nazionali" ovvero in quella della "tutela della salute", materie rientranti, rispettivamente, l'una nella competenza residuale delle Regioni, l'altra nella competenza concorrente statale e regionale.
Di qui la dedotta violazione (primo profilo) dell'art. 117, quarto comma, Cost. ovvero alternativamente (secondo profilo) dell'art. 117, terzo comma, Cost., censura questa basata soprattutto sul rilievo che - ai sensi degli artt. 2, comma 2, e 3, comma 5, del d.lgs. n. 502 del 1992 - spetta alle Regioni la determinazione dei principi sull'organizzazione dei servizi e sull'attività destinata alla "tutela della salute", nonchè la disciplina delle "modalità organizzative e di funzionamento delle unità sanitarie locali".
In ulteriore subordine, infine, la Regione Toscana svolge altre due censure avverso l'impugnato art. 2-septies, comma 1, del decreto-legge n. 81 del 2004.
Deduce, in primo luogo, la violazione dell'art. 118 Cost., atteso che - anche ad ammettere che nel caso in esame la potestà legislativa statale sia destinata a subire uno "spostamento" "dal livello regionale a quello statale", e ciò "al fine di organizzare e regolare funzioni amministrative allocate in capo allo Stato in risposta ad esigenze di carattere unitario" - nessuna intesa risulta essere stata raggiunta con le Regioni, presentandosi la stessa "invece imprescindibile a fronte della interferenza della disciplina in ambiti materiali di competenza regionale".
La ricorrente ipotizza, da ultimo, la violazione anche degli artt. 5, 117 e 118 Cost., segnatamente in relazione all'art. 2 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali) ovvero all'art. 11 della legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) ed al principio di leale cooperazione. Per un verso, infatti, si sottolinea che l'emanazione della norma impugnata è avvenuta senza il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni, che invece "sarebbe stato obbligatorio" nel caso di specie, atteso che essa "interferisce con materie regionali e, segnatamente, con la materia della organizzazione degli enti non statali e con la tutela della salute"; per altro verso, invece, si sottolinea che la norma statale presenta "un'incidenza diretta su materie spettanti al legislatore regionale", sicchè "dovrebbe seguire e rispettare un intervento di codecisione paritaria con le Regioni".
3.2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri per parte sua - nel sostenere sia la legittimità costituzionale dell'impugnato art. 2-septies, sia l'illegittimità delle norme regionali con il medesimo articolo asseritamente in contrasto - ritiene che la materia interessata dalle disposizioni in esame sia quella dell'"ordinamento civile", di esclusiva competenza statale ex art. 117, secondo comma, lettera l), Cost; censura, questa, che è specificamente proposta solo nei riguardi delle norme regionali della Toscana (art. 59 della legge reg. n. 40 del 2005) e dell'Umbria (art. 1 della legge reg. n. 15 del 2005) ma non dell'Emilia-Romagna (art. 8, comma 4, della legge reg. n. 29 del 2005).
In via subordinata, la difesa dello Stato reputa che il titolo idoneo a legittimare l'intervento statale possa essere ravvisato nella materia "tutela della salute" (si è invocata, così, la previsione di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.), ponendosi l'art. 2-septies del decreto-legge n. 81 del 2004 quale "norma di principio", donde, di riflesso, l'illegittimità costituzionale delle disposizioni regionali impugnate, giacchè le stesse, derogando alla predetta disposizione statale secondo cui "la non esclusività del rapporto di lavoro non preclude la direzione di strutture semplici o complesse", contravvengono ad un "principio generale" operante in una materia - "tutela della salute" - oggetto di legislazione concorrente. Solo, infine, come mero argomento difensivo, e, dunque, in relazione all'impugnativa proposta dalla Regione Toscana (reg. ric. n. 74 del 2004), lo Stato ipotizza che il proprio intervento legislativo sia giustificato dalla competenza esclusiva statale - art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. - in materia di "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni".
Una ulteriore censura - per violazione dell'art. 3 Cost. - è proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri in relazione ai soli artt. 59 della legge regionale della Toscana n. 40 del 2005 e 1 della legge regionale dell'Umbria n. 15 del 2005 (reg. ric. n. 53 e n. 64 del 2005), sia sotto il profilo della irragionevolezza, sia sotto quello della disparità di trattamento.
Sarebbe, infatti, irragionevole - per un verso - differenziare i dirigenti sanitari in regime di esclusività da quelli che non hanno optato per tale tipologia di rapporto, posto che la scelta in favore dell'uno o dell'altro dei due regimi non inciderebbe "sulla disponibilità che il dirigente sanitario deve comunque garantire e sullo svolgimento dei propri compiti istituzionali". Le norme impugnate, inoltre, realizzerebbero "una irragionevole disparità di trattamento nell'ambito del personale universitario fondata su di un fatto meramente accidentale quale il rapporto esistente o non esistente con la Regione".
4. - La risoluzione delle questioni come sopra individuate presuppone che, in via preliminare, si identifichi la materia nella quale le impugnate disposizioni si collocano. E tale materia deve essere individuata, secondo questa Corte, nella "tutela della salute".
4.1. - A tale conclusione deve pervenirsi, in primo luogo, in base al rilievo, ripetutamente espresso da questa Corte, secondo cui il "nuovo quadro costituzionale", delineato dalla legge di riforma del Titolo V della Costituzione, è, tra l'altro, "caratterizzato dall'inserimento nell'ambito della legislazione concorrente di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. anzitutto della materia "tutela della salute", assai più ampia rispetto alla precedente materia "assistenza sanitaria ospedaliera"" (così, da ultimo, sentenza n. 270 del 2005).
Alla luce, dunque, di tale ampia nozione deve ritenersi che le disposizioni in esame, sebbene si prestino ad incidere contestualmente su una pluralità di materie (e segnatamente, tra le altre, su quella della organizzazione di enti "non statali e non nazionali"), vadano comunque ascritte, con prevalenza, a quella della "tutela della salute". Rileva in tale prospettiva la stretta inerenza che tutte le norme de quibus presentano con l'organizzazione del servizio sanitario regionale e, in definitiva, con le condizioni per la fruizione delle prestazioni rese all'utenza, essendo queste ultime condizionate, sotto molteplici aspetti, dalla capacità, dalla professionalità e dall'impegno di tutti i sanitari addetti ai servizi, e segnatamente di coloro che rivestono una posizione apicale.
Alla stregua di tali considerazioni e facendo applicazione del criterio - già utilizzato da questa Corte con riferimento ad altre ipotesi nelle quali si è ravvisata una "concorrenza di competenze" - che tende a valorizzare "l'appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre" (sentenza n. 50 del 2005), deve ritenersi che l'ambito materiale interessato dalle disposizioni in esame sia, appunto, quello della "tutela della salute".
4.2. - Nè, in senso contrario, può obiettarsi che, nel caso di specie, il titolo "prevalente" - idoneo a fondare una competenza a legiferare appartenente, addirittura, in via esclusiva allo Stato - dovrebbe essere ravvisato nella materia "ordinamento civile", ex art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
In proposito, infatti, deve escludersi "che ogni disciplina, la quale tenda a regolare e vincolare l'opera dei sanitari, (...), rientri per ciò stesso nell'area dell'"ordinamento civile", riservata al legislatore statale" (così la sentenza n. 282 del 2002).
Improprio è, inoltre, il riferimento della difesa dello Stato alla esclusiva competenza statale ex art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., dovendosi confermare che "tale titolo di legittimazione legislativa non può essere invocato se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione", risultando, viceversa, "del tutto improprio e inconferente il riferimento" ad esso allorchè si intenda "individuare il fondamento costituzionale della disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali" (sentenza n. 285 del 2005, ma si vedano anche, ex multis, sentenze n. 423 e n. 16 del 2004; n. 282 del 2002).
5. - Le considerazioni svolte comportano, dunque, che lo scrutinio di costituzionalità, in ordine al gruppo di norme impugnate, debba essere effettuato con riferimento alla previsione costituzionale di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., nel senso che, versandosi in materia ("tutela della salute") di competenza legislativa ripartita tra Stato e Regioni, spetta al primo la fissazione dei principi fondamentali, mentre alle seconde compete dettare la disciplina attuativa di tali principi con l'autonomia e l'autodeterminazione che, nel disegno costituzionale, ad esse sono state riconosciute.
Al fine di stabilire se, nel caso di specie, le condizioni per il legittimo esercizio della potestà legislativa, statale e regionale, siano state rispettate, appare necessario - in via preliminare - individuare con precisione il contenuto del predetto art. 2-septies, comma 1, del decreto-legge n. 81 del 2004, nonchè ricostruire il complessivo quadro legislativo in cui lo stesso si è venuto ad inserire.
6. - Come già si è precisato, la disposizione in esame ha sostituito il comma 4 dell'art. 15-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, "concernente l'esclusività del rapporto di lavoro dei dirigenti del ruolo sanitario" (disposizione, quest'ultima, introdotta dall'art. 13 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, recante "Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'art. 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419").
In forza, infatti, del "novellato" testo dell'art. 15-quater, comma 4, del d.lgs. n. 502 del 1992, è stata prevista, in sostituzione del precedente regime basato sulla irreversibilità della scelta tra rapporto esclusivo e rapporto non esclusivo, per tutti i dirigenti sanitari pubblici, "la possibilità di scegliere entro il 30 novembre di ogni anno se optare per il rapporto di lavoro esclusivo o meno con il Servizio sanitario, con effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo". Tale facoltà di scelta è stata accordata "sia agli assunti dopo il 31 dicembre 1998" (vale a dire a coloro che risultavano assoggettati ratione temporis al principio dell'esclusività, e ciò per il solo fatto che la costituzione del loro rapporto di lavoro fosse avvenuta a seguito dell'innovazione introdotta dal d.lgs. n. 229 del 1999), "sia a coloro che, già in servizio al 31 dicembre 1998, avevano a suo tempo effettuato l'opzione per il rapporto di lavoro esclusivo" (secondo le prescrizioni del comma 3 del medesimo art. 15-quater).
Come corollario di quanto così disposto, il legislatore statale, con la norma impugnata, ha stabilito che nel caso in cui la scelta dei dirigenti sanitari cada sul regime della non esclusività, essa tuttavia "non preclude la direzione di strutture semplici e complesse".
6.1. - Il primo problema che deve essere affrontato riguarda il rapporto tra la nuova disposizione dell'art. 15-quater, comma 4, e quella contenuta nell'art. 15-quinquies, comma 5, del medesimo d.lgs. n. 502 del 1992, a norma del quale "gli incarichi di direzione di struttura, semplice o complessa, implicano il rapporto di lavoro esclusivo". Ad un primo sommario esame, potrebbe ritenersi che tra le due norme sussista una vera e propria antinomia.
6.2. - Tale apparente antinomia, tuttavia, non può essere risolta ipotizzando l'avvenuta abrogazione tacita del predetto art. 15-quinquies, comma 5, del d.lgs. n. 502 del 1992, atteso che lo stesso legislatore, come emerge dai lavori preparatori della legge n. 138 del 2004, ha inteso sottolineare che il suddetto articolo non risulta abrogato per effetto della nuova disciplina (in tal senso, in particolare, il parere reso dalla Commissione XI della Camera dei deputati, nel corso della seduta dell'11 maggio 2004).
In realtà, l'art. 2-septies ha dato luogo al superamento, unicamente, del principio secondo cui la esclusività del rapporto di lavoro alle dipendenze del servizio sanitario si poneva come attributo indefettibile per la titolarità dell'incarico dirigenziale. All'esito, difatti, di tale intervento legislativo il sistema complessivo si fonda, da un lato, sulla reversibilità della scelta in favore del rapporto esclusivo (opzione che, comunque necessaria per il conferimento dell'incarico, è destinata ad esplicare efficacia per almeno un anno, sempre che le Regioni non si avvalgano della facoltà "di stabilire una cadenza temporale più breve"), nonchè, dall'altro, sulla previsione che il passaggio al rapporto non esclusivo "non preclude la direzione di strutture semplici o complesse", consentendo, così, il mantenimento dell'incarico dirigenziale. Infine, il sistema si caratterizza anche per il fatto che neppure la decisione in favore della "non esclusivita" presenta carattere irreversibile, essendo il rapporto esclusivo pur sempre ripristinabile a domanda dell'interessato, secondo le modalità di cui al comma 2 del predetto art. 15-quater.
Il risultato, dunque, delle modifiche apportate al testo del d.lgs. n. 502 del 1992 dalla legge n. 138 del 2004 non consiste nell'enunciazione di un "nuovo" principio generale, ma piuttosto nell'escludere valore di principio generale a quanto disposto dall'art. 15-quinquies, comma 5, atteso che il novellato testo dell'art. 15-quater, comma 4, prevede che la scelta, per l'uno o per l'altro dei due regimi, sia sostanzialmente "indifferente" quanto alla titolarità dell'incarico dirigenziale, visto che quest'ultima non è più subordinata ad alcuna peculiare configurazione del rapporto di lavoro.
L'adozione di tale soluzione, in conseguenza del superamento del principio fondamentale anteriormente vigente in materia, non costituendo a propria volta l'espressione di un principio di eguale natura, atteso il suo carattere semplicemente dispositivo, non esclude, pertanto, che alle Regioni residui uno spazio di intervento in subiecta materia, venendo in rilievo sotto questo profilo le prerogative ad esse spettanti in merito alla "determinazione dei principi sull'organizzazione dei servizi e sull'attività destinata alla tutela della salute" di cui all'art. 2, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 502 del 1992.
Ciò significa, in altri termini, che le stesse - ferma restando ovviamente l'operatività della disciplina statale, recata dal "novellato" art. 15-quater, comma 4, nei territori delle Regioni che nulla abbiano specificamente stabilito al riguardo - sono libere di disciplinare le modalità relative al conferimento degli incarichi di direzione delle strutture sanitarie, ora privilegiando in senso assoluto il regime del rapporto esclusivo (è la scelta delle leggi regionali della Toscana e dell'Umbria), ora facendo della scelta in suo favore un criterio "preferenziale" per il conferimento degli incarichi di direzione (è, invece, l'opzione legislativa seguita dalla Regione Emilia-Romagna).
E' chiaro, infine, che quando la scelta cada sul rapporto esclusivo, la disciplina delle caratteristiche proprie di tale rapporto continua ad essere quella risultante dal predetto art. 15-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, norma da ritenersi - come si è detto - vigente.
6.3. - Così ricostruiti, quindi, gli effettivi termini delle relazioni intercorrenti (nel descritto ambito materiale della "tutela della salute") tra norma statale e norme regionali, a ciò non può che seguire il riconoscimento della infondatezza delle censure di legittimità costituzionale formulate - ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. - sia avverso l'art. 2-septies, comma 1, del decreto-legge n. 81 del 2004, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione n. 138 del 2004, che delle "speculari" disposizioni legislative regionali, e segnatamente: l'art. 59 della legge regionale della Toscana n. 40 del 2005; l'art. 8, comma 4, della legge regionale dell'Emilia-Romagna n. 29 del 2004; l'art. 1 della legge regionale dell'Umbria n. 15 del 2005.
7. - La conclusione appena raggiunta non comporta, però, automaticamente il rigetto di tutte le altre censure di legittimità costituzionale proposte sia dalla Regione Toscana contro il citato art. 2-septies, comma 1, del decreto-legge n. 81 del 2004, sia dal Presidente del Consiglio dei ministri avverso talune delle disposizioni regionali sopra indicate (segnatamente gli artt. 59 della legge regionale della Toscana n. 40 del 2005 ed 1 della legge regionale dell'Umbria n. 15 del 2005).
7.1. - Quanto alle censure proposte dalla Regione Toscana nei confronti dell'art. 2-septies citato, ulteriori rispetto a quelle fin qui esaminate, ne va rilevata la infondatezza.
In particolare, precisato che si presenta ultronea la dedotta violazione dell'art. 118 della Costituzione, in quanto di tale disposizione costituzionale lo Stato non ha fatto applicazione nella specie, deve osservarsi che si presenta destituita di fondamento la censura di violazione del principio di leale collaborazione, dedotta dalla Regione con riferimento al mancato coinvolgimento, quanto all'adozione della disposizione impugnata, della Conferenza permanente Stato-Regioni, a norma dell'art. 2 del d.lgs. n. 281 del 1997 o dell'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
Questa Corte, difatti, ha già avuto modo di precisare che il mancato coinvolgimento della predetta Conferenza, sia nella fase di emanazione del decreto-legge, che in quella della conversione in legge, non integra un vizio di costituzionalità della norma statale, nè postula, di per sè, la lesione del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni (sentenze n. 272 del 2005, n. 196 del 2004). E', pertanto, da escludere la fondatezza della tesi prospettata dalla Regione ricorrente secondo cui si sarebbe dovuto seguire, nella specie, "un intervento di codecisione paritaria con le Regioni".
7.2. - Quanto poi alle ulteriori censure, proposte dallo Stato nei confronti delle impugnate disposizioni regionali, consistenti nella deduzione di vizi distinti da quello della violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. e, dunque, con riferimento a parametri diversi da quelli relativi al riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni, se ne deve affermare la non fondatezza.
7.2.1. - Ci si riferisce, in particolare, all'assunto contrasto dei predetti artt. 59 della legge regionale della Toscana n. 40 del 2005 ed 1 della legge regionale dell'Umbria n. 15 del 2005, con l'art. 3 della Costituzione.
Le disposizioni legislative regionali sono, infatti, sospettate di illegittimità costituzionale anche "sotto il profilo della irragionevolezza", e "sotto quello della disparità di trattamento".
Il ricorrente muove dall'assunto secondo cui non sarebbe, per un verso, ragionevole differenziare i dirigenti sanitari in regime di esclusività da quelli che non hanno optato per tale rapporto (giacchè la scelta in favore dell'uno o dell'altro dei due regimi non inciderebbe "sulla disponibilità che il dirigente sanitario deve comunque garantire e sullo svolgimento dei propri compiti istituzionali"), evidenziando, inoltre, che le norme suddette darebbero vita ad "una irragionevole disparità di trattamento nell'ambito del personale universitario fondata su di un fatto meramente accidentale quale il rapporto esistente o non esistente con la Regione".
7.2.2. - Tale censura non è fondata.
Questa Corte, più volte chiamata a sindacare la ragionevolezza di scelte legislative dirette a porre limiti allo svolgimento delle attività libero-professionali dei sanitari appartenenti al Servizio sanitario nazionale (giacchè tale è, in definitiva, il senso della dedotta censura di violazione dell'art. 3 Cost.), ha osservato come detto scrutinio vada effettuato verificando se eventuali "condizioni e limiti" alla stessa imposti possano ritenersi "preordinati alla tutela di altri interessi e di altre esigenze sociali parimenti fatti oggetto (...) di protezione costituzionale" (così, da ultimo, con specifico riferimento all'attività libero-professionale dei veterinari, la sentenza n. 147 del 2005).
Ciò premesso in termini generali, deve ribadirsi quanto questa Corte già in passato ha affermato, e cioè che nel "quadro di una evoluzione legislativa diretta a conferire maggiore efficienza, anche attraverso innovazioni del rapporto di lavoro dei dipendenti, all'organizzazione della sanità pubblica così da renderla concorrenziale con quella privata, (...) non appare irragionevole la previsione di limiti all'esercizio dell'attività libero-professionale da parte dei medici del Servizio sanitario nazionale", e ciò anche in ragione del fatto "che la denunciata - e comunque indiretta - limitazione all'esercizio della libera professione", risulta "peraltro frutto di una precisa scelta del medico" (sentenza n. 330 del 1999).
Tali conclusioni, poi, possono essere ribadite anche con riferimento alla ipotizzata "irragionevole disparità di trattamento nell'ambito del personale universitario", e ciò in quanto non può ritenersi manifestamente irragionevole la scelta effettuata dal legislatore in tale materia (sentenza n. 71 del 2001).
Ed è chiaro che, comunque, la legislazione regionale non può incidere sullo status dei professori universitari.
8. - Passando poi alle altre questioni oggetto del presente giudizio (e non direttamente riconducibili al tema della "esclusivita" del rapporto di lavoro dei dirigenti sanitari), debbono, innanzitutto, esaminarsi quelle relative all'art. 2, comma 1, lettera b), ed all'art. 8, comma 3, della legge regionale dell'Emilia-Romagna n. 29 del 2004, entrambe proposte dallo Stato con riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
8.1. - Le due norme - nello stabilire, rispettivamente, l'una che "la costituzione di Aziende Ospedaliere è disposta dalla Regione previa valutazione di complessità dei casi trattati", e l'altra che "l'attribuzione dell'incarico di direzione di struttura complessa ai dirigenti sanitari è effettuata dal direttore generale (...) sulla base di una rosa di tre candidati" - derogherebbero a due principi fondamentali della materia "tutela della salute".
La prima disposizione, difatti, contravverrebbe al principio desumibile dall'art. 4, comma 1-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992, ai sensi del quale "la costituzione di tale tipo di Aziende sanitarie può essere proposta dalla Regione solo quando ricorrono determinati requisiti, tra i quali, di particolare rilevanza: l'indice di complessità dei casi trattati dall'ospedale che superi di almeno il 20% il valore della media regionale, la presenza di tre unità operative di alta specialità, un tasso di ricoveri di pazienti provenienti da altre Regioni che superi di almeno il 10%, nell'ultimo triennio, il valore medio regionale".
La seconda, invece, violerebbe l'art. 15-ter del medesimo d.lgs. n. 502 del 1992, il quale prevede "l'attribuzione dell'incarico "sulla base di una rosa di candidati idonei selezionata da un'apposita commissione" senza limitare il numero dei designati dalla commissione stessa".
9. - Entrambe le questioni non sono fondate.
9.1. - Difatti, e indipendentemente dal rilievo che è lo stesso legislatore statale (art. 19, comma 2-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992) ad escludere la qualificazione come "principi generali" di quelli desumibili dal precedente art. 4, comma 1-bis, del medesimo decreto legislativo, valgono nel caso di specie i seguenti assorbenti rilievi.
Nel disciplinare il criterio (o meglio, uno dei criteri) per la costituzione di nuove aziende ospedaliere, la Regione Emilia-Romagna non solo ha operato nell'ambito di competenze regionali relative sia alla "determinazione dei principi sull'organizzazione dei servizi e sull'attività destinata alla tutela della salute", che alle "modalità organizzative e di funzionamento delle unità sanitarie locali" (artt. 2, comma 2, e 3, comma 5, del d.lgs. n. 502 del 1992), ma ha anche dato vita ad un intervento, la cui conformità al disposto del richiamato art. 4, comma 1-bis, del d.lgs. n. 502 del 1992, deve essere valutata alla stregua di quella che risulta essere la complessiva disciplina regionale vigente in materia.
Orbene, se si ha riguardo a questa ultima nel suo insieme - e segnatamente alle prescrizioni contenute nell'art. 3 della medesima legge reg. n. 29 del 2004, come nella legge regionale 20 dicembre 1994, n. 50 (Norme in materia di programmazione, contabilità, contratti e controllo delle aziende Unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere), ovvero nel Piano sanitario regionale 1998-2000 - appare evidente che la Regione Emilia-Romagna subordina la costituzione delle aziende ospedaliere a prescrizioni non minori rispetto a quelle di cui alla citata norma di legge statale.
9.2. - Quanto, invece, alla seconda disposizione impugnata, limitandosi la stessa a stabilire che la "rosa", in base alla quale il direttore generale della azienda sanitaria locale effettua "l'attribuzione dell'incarico di direzione di struttura complessa", ricomprenda "tre candidati", detta una tipica norma di dettaglio, non in contrasto con l'art. 15-ter del medesimo d.lgs. n. 502 del 1992 (che non limita il numero degli aspiranti).
Se, invero, il rapporto tra norma "di principio" e norma "di dettaglio" deve essere inteso nel senso che l'una "può prescrivere criteri (...) ed obiettivi", all'altra invece spettando l'individuazione degli "strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi" (sentenza n. 390 del 2004), non è dubitabile che una relazione siffatta sussista tra il predetto art. 15-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 e la norma regionale impugnata. Il primo fissa, difatti, l'obiettivo della designazione del direttore della struttura sanitaria attraverso una valutazione comparativa di una rosa di candidati selezionati da apposita commissione, la norma regionale determina, invece, solo le modalità di formazione di tale rosa.
Resta, peraltro, implicito che in coerente applicazione dei canoni fissati dall'art. 97 della Costituzione (i quali esigono "che nell'accesso a funzioni più elevate" venga osservato un "meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci"; cfr. sentenza n. 62 del 2006, sentenze nn. 465 e 407 del 2005) è necessario che siano adottate modalità procedimentali atte a garantire le condizioni di un trasparente ed imparziale esercizio dell'attività amministrativa. Occorre, altresì, che tale attività, oltre ad essere svolta mediante l'impiego di criteri oggettivi e predeterminati, culmini nella formazione di una graduatoria in base alla quale procedere alla individuazione dei tre aspiranti al conferimento dell'incarico dirigenziale, fermo restando, comunque, che rimane impregiudicata la possibilità per il direttore generale della azienda sanitaria locale, con atti motivati, di non avvalersi della terna e, conseguentemente, di non procedere all'attribuzione dell'incarico.
10. - L'ultima questione che viene in esame è quella (reg. ric. n. 53 del 2005) avente ad oggetto l'art. 139 della legge regionale della Toscana n. 40 del 2005, secondo cui gli organi dell'Agenzia regionale di sanità, disciplinata dal precedente art. 82 della medesima legge, "in carica al momento dell'entrata in vigore della presente legge, restano in carica fino all'entrata in vigore della legge di revisione dell'ARS".
E' dedotta dal Presidente del Consiglio dei ministri la violazione dell'art. 97 Cost., giacchè la norma impugnata contravverrebbe ai "principi di legalità, buon andamento e imparzialità dell'organizzazione amministrativa", dando vita - in contrasto con l'art. 3 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 293 (Disciplina della proroga degli organi amministrativi), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 1994, n. 444 - ad "una vera e propria prorogatio a tempo indeterminato", durante la quale, oltretutto, "gli organi dell'ARS" svolgono "funzioni non affievolite di studio e di ricerca, nonchè ulteriori eventuali incarichi da parte della Giunta regionale o del Consiglio regionale".
10.1. - La questione è fondata.
10.2. - La norma regionale impugnata non è conforme ai principi in tema di prorogatio degli organi amministrativi, desumibili dall'art. 3 del citato decreto-legge n. 293 del 1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 444 del 1994, e, dunque, essa viola il parametro di cui all'art. 97 della Costituzione.
In proposito giova rammentare come questa Corte (sentenza n. 208 del 1992), nell'escludere che "la regola della prorogatio di fatto, a tempo indefinito, sia da considerarsi vigente in quanto inscindibilmente legata all'essenza stessa degli ordinamenti", abbia per contro affermato che "ogni proroga, in virtù dei principi desumibili dal citato art. 97 della Costituzione", può "aversi soltanto se prevista espressamente dalla legge e nei limiti da questa indicati".
La Corte, inoltre, nel prendere atto che proprio il citato art. 3 del decreto-legge n. 293 del 1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 444 del 1994, ha provveduto a dettare la disciplina generale della prorogatio degli organi amministrativi, ha identificato i "principi generali" cui la stessa si ispira.
Tali principi, in particolare, sono stati individuati nella "cessazione delle funzioni degli organi alla scadenza del loro termine di durata"; nella "indicazione di un ragionevole periodo di proroga, per consentirne la rinnovazione, durante il quale l'organo scaduto può compiere solo atti di ordinaria amministrazione"; nella "previsione di un regime sanzionatorio invalidante gli atti esorbitanti da tale limite"; nell'"obbligo della ricostituzione dell'organo entro una data anteriore alla scadenza del periodo di proroga"; nella "definitiva decadenza degli organi scaduti dal momento di questa cessazione" e nell'"assoggettamento ad un regime sanzionatorio di tutti gli atti emanati successivamente" (sentenza n. 464 del 1994).
Orbene, a tali principi non si attiene la norma impugnata, e segnatamente a quello - di cui al comma 1 del predetto art. 3 - che fissa in non più di quarantacinque giorni il periodo di durata della proroga.