(Corte costituzionale - 98 - 7/21 marzo 2007)
1. - Con tre separati ricorsi di analogo tenore, notificati il 27 febbraio 2006 e depositati i successivi 3 e 4 marzo 2006, le Regioni Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia hanno impugnato in via principale, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, numerose disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2006), tra cui l'art. 1, commi 280 e 281, per violazione degli artt. 117, terzo comma (relativamente alla "tutela della salute"), 118 e 119 della Costituzione, nonchè del principio di ragionevolezza. La Regione Friuli-Venezia Giulia fa riferimento anche agli artt. 5, n. 15 (recte: n. 16), 8, 48, 49 e 50 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).
Le ricorrenti premettono che l'art. 1, comma 279, della legge impugnata prevede il concorso dello Stato nel ripiano dei disavanzi del Servizio sanitario nazionale per gli anni 2002, 2003 e 2004, ma che l'erogazione degli importi da parte dello Stato è anzitutto "subordinata all'adozione, da parte delle Regioni, dei provvedimenti di copertura del residuo disavanzo posto a loro carico per i medesimi anni".
Inoltre l'art. 1, comma 280, subordina tale concorso anche al conseguimento, entro il 31 marzo 2006, dell'intesa sul Piano sanitario nazionale 2006-2008 in sede di Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, e, nel medesimo termine, di una seconda intesa tra Stato e Regioni, ai sensi dell'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, che preveda la realizzazione da parte delle Regioni degli interventi previsti dal Piano nazionale di contenimento dei tempi di attesa, tra cui particolari misure organizzative relative alle c.d. liste di attesa per le prestazioni sanitarie.
Un'ulteriore condizione viene poi posta alle Regioni che nel periodo 2001-2005 abbiano registrato un disavanzo medio pari o superiore al 5%, ovvero, nell'anno 2005, un incremento del disavanzo rispetto al 2001 non inferiore al 200%: in tali casi, si prevede (art. 1, comma 281) la stipula di un accordo tra la Regione interessata e i ministri della salute e dell'economia e delle finanze, per l'adeguamento alle indicazioni del Piano sanitario nazionale 2006-2008 e il perseguimento dell'equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza.
Le condizioni poste da entrambi i commi sono, a parere delle ricorrenti, costituzionalmente illegittime.
In primo luogo, esse violerebbero la competenza legislativa concorrente e le attribuzioni amministrative della Regione in materia di "tutela della salute" (artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione), giacchè istituirebbero un "collegamento necessario tra il finanziamento statale, resosi indispensabile in relazione ad attività di assistenza già prestata, e il consenso della Regione" sulle previsioni del Piano sanitario 2006-2008 e sulle misure organizzative concernenti le liste di attesa, con particolare riguardo alla destinazione di una quota minima di risorse da vincolare al contenimento dei tempi e alle modalità di realizzazione del centro unico di prenotazione (art. 1, comma 280, lettera d), alla attivazione di uno specifico flusso informativo per il monitoraggio delle liste di attesa (art. 1, comma 280, lettera e), alla competenza del comitato Stato-Regioni previsto dall'intesa del 23 marzo 2005 in punto di certificazione degli interventi attuativi del Piano di contenimento delle liste di attesa.
Così disponendo, il Legislatore statale avrebbe compresso l'autonomia regionale in modo illegittimo e irragionevole (art. 97 della Costituzione), posto che le intese e l'accordo previsti dalle norme impugnate solo all'apparenza sarebbero liberamente sottoscrivibili o rifiutabili, mentre nella realtà essi sarebbero imposti alla Regione "dalla urgente necessità di ottenere il contributo finanziario dello Stato".
Sarebbe in particolare lesiva del principio di ragionevolezza la previsione che l'accordo previsto dall'art. 1, comma 281, della legge impugnata, benchè originato dal disavanzo passato, concerna l'adeguamento al Piano sanitario per gli anni a venire.
In secondo luogo, ponendo condizioni che non attengono direttamente alle cause del disavanzo finanziario e che quindi non incidono "sulle fonti di entrata o sui livelli delle prestazioni", le norme impugnate si porrebbero altresì in contrasto con l'art. 119, quarto comma, della Costituzione, per il quale alla Regione spetta il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuitele.
2. - Con ricorso notificato il 24 febbraio 2006 e depositato il 3 marzo 2006 anche la Regione Piemonte ha impugnato, tra l'altro, gli stessi commi 280 e 281 dell'art. 1 della legge n. 266 del 2005, per contrasto con gli artt. 97, 119 e 120 della Costituzione.
La ricorrente sostiene, anzitutto, che misure legislative concernenti la disciplina del finanziamento del servizio sanitario "dovrebbero necessariamente essere oggetto di preventiva verifica ed accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni".
Inoltre, sarebbe costituzionalmente illegittimo vincolare il ripiano finanziario di un disavanzo pregresso a "future determinazioni" tra Stato e Regioni, che ne verrebbero per ciò stesso unilateralmente condizionate.
3. - A propria volta la Regione Toscana, con ricorso notificato il 2 marzo 2006 e depositato il 28 febbraio 2006, ha, tra l'altro, proposto questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 280 e 281, della legge n. 266 del 2005, in relazione agli artt. 117, terzo comma ("tutela della salute") e 119 della Costituzione.
La ricorrente premette che il disavanzo finanziario nel settore sanitario non sarebbe dipeso da "cattiva gestione", ma "dalla sottostima del fondo sanitario nazionale e dall'inattuazione del federalismo fiscale".
Ciò detto, le norme impugnate avrebbero illegittimamente subordinato la disponibilità del ripiano finanziario dello Stato all'assunzione di "futuri obblighi", privi di collegamento con le cause del disavanzo, e nel contempo avrebbe chiuso "ogni rivendicazione futura su eventuali disavanzi sorti negli anni passati, dei quali dovrà farsi carico la Regione", le cui competenze in materia di tutela della salute e la cui autonomia finanziaria sarebbero così state lese.
4. - Con ricorso notificato il 23 febbraio 2006 e depositato il 1° marzo 2006 anche la Regione Veneto ha, tra l'altro, impugnato l'art. 1, commi 279 e 280, della legge n. 266 del 2005, per contrasto con gli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.
La ricorrente osserva che le norme impugnate "appaiono viziate da intrinseca irragionevolezza, in quanto subordinano il ripiano del disavanzo da parte dello Stato ad attività delle Regioni, che non presentano profili di connessione con il ripianamento stesso": tale irragionevolezza ridonderebbe nella lesione della "autonomia regionale" tutelata dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
5. - Anche la Regione Campania, con ricorso notificato il 27 marzo 2006 e depositato il 3 marzo 2006 ha, tra l'altro, impugnato l'art. 1, comma 280, della legge n. 266 del 2005, in relazione agli artt. 117 e 119 della Costituzione.
Secondo la ricorrente, tale norma, nel legare il ripiano di disavanzi pregressi a "futuri obblighi" della Regione e nel precludere "alle Regioni ogni possibile rivendicazione futura per gli eventuali disavanzi", lederebbe l'autonomia finanziaria regionale.
6. - Si è costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con memorie di analogo tenore (salvo che nel giudizio promosso dalla Regione Campania, ove l'Avvocatura si è riservata di "argomentare [...] dopo che sarà raggiunta l'intesa prevista dal comma 280" impugnato).
Dopo avere eccepito l'inammissibilità delle censure svolte dalle Regioni Liguria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Veneto in relazione al principio di ragionevolezza e agli artt. 3 e 97 della Costituzione, l'Avvocatura osserva che il solo parametro idoneo sarebbe costituito dal riparto costituzionale delle competenze: in particolare, le norme impugnate verterebbero nella materia della "tutela della salute", fissando obiettivi di programmazione sanitaria e di contenimento della spesa di certa spettanza statale, anche alla luce del carattere "incentivante" del finanziamento dello Stato, già affermato da questa Corte (sentenza n. 36 del 2005). Pertanto i ricorsi dovrebbero essere respinti.
7. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica, le ricorrenti (con l'eccezione della Regione Piemonte) hanno depositato memorie.
Le Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Liguria replicano, anzitutto, all'eccezione dell'Avvocatura dello Stato circa l'inammissibilità delle censure basate sugli artt. 3 e 97 della Costituzione, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui i ricorsi regionali in via principale possono fondarsi su "parametri esterni al Titolo V, qualora la violazione di essi si traduca in lesione delle competenze costituzionalmente garantite".
Tali ricorrenti ritengono altresì inconferenti i richiami operati dall'Avvocatura dello Stato alle sentenze n. 36 del 2005 e n. 329 del 2003 di questa Corte.
In particolare, la sentenza n. 36 del 2005 si sarebbe limitata a ritenere costituzionalmente non illegittime le condizioni poste alle Regioni per accedere al finanziamento statale, in ragione del carattere "incentivante" che esso poteva esercitare, mentre le norme impugnate, venendo a coprire un disavanzo già formatosi, avrebbero il solo scopo di "imporre il consenso regionale" su atti di intesa "che non perseguono specifici obiettivi di contenimento della spesa", per di più tramite norme dettagliate.
Le ricorrenti sostengono infine di godere di "autonomia piena (art. 117, comma quarto, della Costituzione)" "in materia di organizzazione sanitaria", autonomia che le norme censurate verrebbero a ledere.
La Regione Veneto, nel ribadire le argomentazioni e le conclusioni già formulate nel ricorso, aggiunge che sarebbe "irragionevole e irrazionale" la previsione del comma 280 impugnato, relativa al riparto del finanziamento statale tra le Regioni "sulla base del numero dei residenti", così ignorando "i costi effettivi dell'assistenza sanitaria", e che le proprie doglianze sono fondate anche sulla pretesa lesione del principio di leale cooperazione "desumibile dall'art. 5 della Costituzione e dall'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001" (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione).
A propria volta, la Regione Toscana insiste per l'accoglimento del ricorso, riproducendo le censure già svolte nel ricorso. Infine, la Regione Campania, dando atto che entrambe le intese previste dall'impugnato comma 280 sono state raggiunte in data 28 marzo 2006, chiede che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere.
8. - In prossimità dell'udienza anche l'Avvocatura dello Stato ha depositato memorie: in particolare, nei giudizi promossi dalle Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Piemonte e Toscana, mediante analoghe argomentazioni, ha insistito sulle conclusioni già formulate.
L'Avvocatura, ripercorrendo le tappe degli accordi raggiunti tra Stato e Regioni sui livelli della spesa sanitaria ed il parallelo evolversi della legislazione, mette in particolare evidenza che già l'art. 83 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2001), seguito all'accordo fra Stato e Regioni del 3 agosto 2000, ha posto a carico delle Regioni la copertura degli eventuali disavanzi di gestione.
Dopo gli accordi fra Stato, Regioni e Province autonome del 22 marzo 2001 e dell'8 agosto 2001, "trasfusi" nel decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 (Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), convertito con modificazioni dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, tale principio è stato ribadito e si è altresì stabilito che i livelli essenziali di assistenza fossero definiti con d.P.C.m. "d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome" (art. 6).
Tali livelli sono stati individuati con l'accordo del 22 novembre 2001 e adottati con il d.P.C.m. del 29 novembre 2001.
In tale contesto (rafforzato dall'intesa del 23 marzo 2005, in attuazione dell'art. 1, comma 173, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2005", relativa ad adempimenti a carico delle Regioni per accedere al maggior finanziamento per gli anni 2005, 2006 e 2007), le norme impugnate non sarebbero affatto irragionevoli, ma, a fronte della violazione da parte delle Regioni degli impegni di spesa assunti, si limiterebbero a sottoporre l'ulteriore "concorso straordinario" dello Stato a condizioni "dirette alla realizzazione degli equilibri finanziari del settore".
Le norme censurate, cui hanno fatto seguito le due intese previste dal comma 280, nell'ottica di una "codeterminazione paritaria" del contenuto del Piano sanitario nazionale e di una "codecisione paritaria" quanto al contenimento dei tempi di attesa, avrebbero perciò lo scopo di "assicurare il rispetto degli accordi intervenuti, che legano interventi finanziari a standard di assistenza uniformi", così sottraendosi ad ogni censura svolta.
Viceversa, nel giudizio promosso con il ricorso della Regione Campania, l'Avvocatura dello Stato ha depositato memoria senza svolgere alcuna considerazione in ordine all'impugnato comma 280.