Considerato in diritto

(Corte costituzionale - 98 - 7/21 marzo 2007)

1. - Le Regioni Toscana, Veneto, Piemonte, Campania, Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia (reg. ric. nn. 28, 29, 35, 36, 38, 39 e 41 del 2006) hanno impugnato numerose disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2006), fra cui, l'art. 1, commi 279, 280 e 281.

In particolare, le Regioni Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia hanno impugnato i commi 280 e 281 dell'art. 1 della legge n. 266 del 2005, per violazione degli artt. 97, 117, terzo comma (relativamente alla "tutela della salute"), 118 e 119 della Costituzione, nonchè del principio di ragionevolezza. La Regione Friuli-Venezia Giulia evoca a parametro anche agli artt. 5, n. 15 (recte: n. 16), 8, 48, 49 e 50 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).

Il legislatore statale avrebbe violato la autonomia legislativa ed amministrativa delle Regioni in materia di "tutela della salute", istituendo un collegamento necessario fra il finanziamento statale a riduzione del deficit nel settore sanitario ed il consenso della Regione sulle previsioni del Piano sanitario 2006-2008 e sulle misure organizzative concernenti le liste di attesa, incluse nel Piano nazionale di contenimento delle stesse.

Inoltre, sarebbe irragionevole che tali intese e l'accordo previsto dall'art. 1 del comma 281 della legge impugnata, benchè originato dal disavanzo passato, concernano misure destinate a produrre effetti per gli anni a venire.

Infine, ponendosi condizioni che non attengono direttamente alle cause del disavanzo finanziario, le norme impugnate si porrebbero altresì in contrasto con l'art. 119, quarto comma, della Costituzione, per il quale alle Regioni spetta il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite.

La Regione Piemonte ha impugnato gli stessi commi 280 e 281 dell'art. 1 della legge n. 266 del 2005, peraltro per contrasto con gli artt. 97, 119 e 120 della Costituzione.

La ricorrente sostiene, anzitutto, che misure legislative concernenti la disciplina del finanziamento del servizio sanitario "dovrebbero necessariamente essere oggetto di preventiva verifica ed accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni". Inoltre, sarebbe costituzionalmente illegittimo vincolare il ripiano finanziario di un disavanzo pregresso a "future determinazioni" tra Stato e Regioni.

La Regione Toscana ha impugnato gli stessi commi 280 e 281, in relazione agli artt. 117, terzo comma ("tutela della salute") e 119 della Costituzione. In particolare, la ricorrente afferma che il disavanzo finanziario nel settore sanitario sarebbe stato originato "dalla sottostima del fondo sanitario nazionale e dall'inattuazione del federalismo fiscale".

Le norme impugnate avrebbero illegittimamente subordinato la disponibilità del ripiano finanziario dello Stato all'assunzione di "futuri obblighi", privi di collegamento con le cause del disavanzo. Al tempo stesso, si impedirebbe "ogni rivendicazione futura su eventuali disavanzi sorti negli anni passati, dei quali dovrà farsi carico la Regione".

La Regione Veneto ha, invece, impugnato i commi 279 e 280 dell'art. 1, per contrasto con gli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.

In particolare, la ricorrente osserva che le norme impugnate "appaiono viziate da intrinseca irragionevolezza, in quanto subordinano il ripiano del disavanzo da parte dello Stato ad attività delle Regioni, che non presentano profili di connessione con il ripianamento stesso": tale irragionevolezza ridonderebbe nella lesione della "autonomia regionale" tutelata dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.

La Regione Campania ha, infine, impugnato l'art. 1, comma 280, della legge n. 266 del 2005, in relazione agli artt. 117 e 119 della Costituzione. In particolare, secondo la ricorrente, tale norma, nel legare il ripiano di disavanzi pregressi a "futuri obblighi" della Regione e nel precludere "alle Regioni ogni possibile rivendicazione futura per gli eventuali disavanzi", lederebbe l'autonomia finanziaria regionale.

2. - Per ragioni di omogeneità di materia, le questioni di costituzionalità indicate debbono essere trattate separatamente dalle altre, sollevate con i medesimi ricorsi, oggetto di distinte decisioni.

Considerata la sostanziale analogia delle questioni relative ai commi 279, 280 e 281 dell'art. 1 della legge impugnata, i giudizi promossi dalle Regioni ricorrenti, per questa parte, possono essere riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

3. - Anzitutto, occorre decidere alcune questioni preliminari al merito.

3.1. - La Regione Friuli-Venezia Giulia indica nel ricorso come parametri del giudizio anzitutto le proprie competenze legislative in materia di "igiene e sanità, assistenza sanitaria ed ospedaliera" (art. 5, n. 16 dello Statuto) e le corrispondenti funzioni amministrative (art. 8 dello Statuto), nonchè le norme statutarie relative all'autonomia finanziaria (artt. 48, 49 e 50 dello Statuto). Al tempo stesso, peraltro, tutto il ricorso è motivato con riguardo alla materia "tutela della salute" e alle relative funzioni amministrative (benchè gli artt. 117 e 118 Cost. non siano espressamente richiamati, salvo che nella memoria conclusiva), nonchè al principio di autonomia finanziaria, espressamente riferito all'art. 119 Cost.

Questa Corte ha già avuto occasione di affermare nella sentenza n. 134 del 2006, con specifico riferimento a questa Regione, che, ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la competenza di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. in tema di tutela della salute, è più favorevole rispetto a quanto previsto nello statuto di questa Regione in materia di "igiene e sanità, assistenza sanitaria ed ospedaliera". Ciò determina che possano essere individuati come parametri comuni per tutte le Regioni ricorrenti l'art. 117, terzo comma, e l'art. 118 della Costituzione, nonchè il principio costituzionale di autonomia finanziaria di cui all'art. 119.

3.2. - Le delibere con cui le Giunte regionali dell'Emilia-Romagna e del Piemonte hanno autorizzato la proposizione dei rispettivi ricorsi non indicano gli specifici parametri costituzionali che si asseriscono lesi dalle disposizioni impugnate, ma accennano solo genericamente alla lesione delle competenze costituzionali delle medesime Regioni.

Ciò non costituisce, tuttavia, ragione di inammissibilità dei ricorsi in questione.

Questa Corte, infatti, ha avuto occasione di affermare nella sentenza n. 533 del 2002 che l'organo politico promotore del ricorso in via principale ha il solo onere di indicare le norme che intende impugnare, mentre i motivi di censura e i conseguenti parametri costituzionali ben possono essere rimessi all'autonoma iniziativa della difesa tecnica. Le successive sentenze n. 216 del 2006 e n. 50 del 2005 non hanno contraddetto questo principio, ma hanno dichiarato l'inammissibilità di ricorsi promossi sulla base di delibere analoghe a quelle qui in esame, i quali, tuttavia, erano riferiti ad intere leggi dal contenuto non omogeneo: infatti, in questi casi si rivela senz'altro necessaria la indicazione, nella delibera dell'organo politico, quanto meno di una sintetica motivazione anche relativamente agli specifici parametri che si assumono violati, dal momento che solo attraverso siffatta motivazione è possibile ricostruire quali specifiche norme l'organo consiliare abbia inteso effettivamente censurare, tra le molte che compongono, senza omogeneità, l'intero testo normativo oggetto dell'impugnazione.

3.3. - Nelle memorie depositate in prossimità dell'udienza alcune Regioni ricorrenti hanno introdotto nuove censure, da ritenersi senz'altro inammissibili per costante giurisprudenza di questa Corte, in quanto non contenute nei ricorsi originari.

In particolare, le Regioni Emilia-Romagna, Liguria e Friuli-Venezia Giulia si sono riferite all'art. 117, quarto comma, della Costituzione in materia di "organizzazione sanitaria", così affermando che la disciplina contenuta nelle disposizioni impugnate dovrebbe ritenersi afferente alla potestà legislativa residuale delle Regioni, mentre nei ricorsi le medesime ricorrenti avevano indicato, a sostegno della doglianza relativa alla asserita violazione delle loro competenze legislative, il solo terzo comma dell'art. 117 della Costituzione, in punto di tutela della salute.

A sua volta, la Regione Veneto ha contestato solo nella memoria conclusiva la previsione, contenuta nel comma 280, secondo cui l'accesso al concorso statale è da ripartirsi tra le Regioni "sulla base del numero dei residenti". Del pari del tutto nuova è la denuncia, da parte di tale ultima ricorrente, di violazione del principio di leale cooperazione, basata sull'art. 5 della Costituzione e sull'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

3.4. - Nelle more del giudizio, sono state raggiunte entrambe le intese previste dall'impugnato comma 280: il d.P.R. 7 aprile 2006 (Approvazione del Piano sanitario nazionale 2006-2008) è stato preceduto dall'intesa intervenuta nell'ambito della Conferenza unificata del 28 marzo 2006; lo stesso 28 marzo 2006 è stato adottato il Provvedimento n. 2555 (Intesa, ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sul piano nazionale di contenimento dei tempi di attesa per il triennio 2006-2008, di cui all'art. 1, comma 280, della legge 23 dicembre 2005, n. 266).

La sola Regione Campania ha richiesto che venga pertanto dichiarata la cessazione della materia del contendere.

La richiesta non può essere accolta, dal momento che in base alla giurisprudenza di questa Corte la cessazione della materia del contendere riguarda le ipotesi in cui le norme impugnate non abbiano avuto e non possano avere più applicazione (sentenza n. 53 del 2000; analogamente, fra le più recenti, sentenze n. 370 e n. 216 del 2006), e non l'ipotesi inversa in cui esse abbiano già trovato applicazione, quando un'eventuale pronuncia di accoglimento della Corte potrebbe reintegrare l'ordine costituzionale asseritamente violato (sentenza n. 345 del 2004): nel caso di specie, le intese raggiunte trovano la propria causa proprio nelle norme impugnate, di modo che non si può escludere un effetto su di esse conseguente ad un eventuale accoglimento delle questioni proposte.

La stessa adesione spontanea alle intese da parte delle Regioni ricorrenti non incide sulla perdurante attualità dell'interesse al ricorso, poichè nel giudizio in via principale non trova applicazione l'istituto della acquiescenza (fra le molte, si vedano le sentenze n. 74 del 2001, n. 20 del 2000, n. 382 del 1999).

3.5. - L'impugnazione dell'art. 1, comma 279, della legge n. 266 del 2005, svolta dalla sola Regione Veneto, è inammissibile per difetto di motivazione (tra le molte, sentenze n. 20 del 2006 e n. 335 del 2005).

La sola censura che il ricorso articola, esprimendo la doglianza che il contributo finanziario dello Stato sia "subordinato ad attività della Regione che non presentano profili di connessione con il ripianamento stesso", può infatti logicamente investire il solo comma 280 della disposizione impugnata, giacchè il comma 279 prevede, invece, che la Regione provveda alla copertura del "residuo disavanzo".

Nè si vede quale interesse la ricorrente avrebbe ad impugnare l'intero comma 279, e non questa ultima previsione soltanto, da esso recata, posto che tale norma è la fonte attributiva del concorso finanziario dello Stato, cui la ricorrente ambisce, seppure in difetto di ulteriori condizioni.

4. - Per risolvere nel merito le questioni proposte, è opportuno richiamare il vigente quadro normativo concernente il finanziamento delle Regioni nell'ambito del servizio sanitario.

La soppressione del fondo sanitario nazionale ad opera dell'art. 1, comma 1 lettera d), del d.lgs 18 febbraio 2000, n. 56 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'art. 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133) ha avuto allora compensazione tramite la previsione di una serie di compartecipazioni regionali a tributi statali e la istituzione di un apposito fondo perequativo nazionale.

Successivamente, l'art. 83 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2001) ha previsto, al comma 4, che "le singole Regioni [...] sono tenute a provvedere alla copertura degli eventuali disavanzi di gestione, attivando nella misura necessaria l'autonomia impositiva con le procedure e modalità di cui ai commi 5, 6 e 7". Queste ultime norme procedimentali sono state immediatamente modificate (come ha rilevato anche questa Corte nella sentenza n. 334 del 2003) ad opera del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 (Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 16 novembre 2001, n. 405, espressamente recependo l'accordo dell'8 agosto 2001 fra Stato e Regioni relativo al tetto delle spese per l'assistenza sanitaria (Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano recante integrazioni e modifiche agli accordi sanciti il 3 agosto 2000 ed il 22 marzo 2001).

Il decreto-legge n. 347 del 2001 - per ciò che concerne il presente giudizio - ha da un lato (art. 1, comma 1) recepito il tetto della spesa per l'assistenza sanitaria per gli anni 2002, 2003 e 2004 "nei termini stabiliti dall'accordo Stato-Regioni sancito l'8 agosto 2001", e dall'altro lato (art. 4, comma 3) ribadito che deficit che superino le entrate derivanti dal riparto del finanziamento statale previsto per quell'anno, debbano essere coperti dalle Regioni, mediante "misure di compartecipazione alla spesa sanitaria, ivi inclusa l'introduzione di forme di corresponsabilizzazione dei principali soggetti che concorrono alla determinazione della spesa", "variazioni dell'aliquota dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche o altre misure fiscali previste nella normativa vigente", "altre misure idonee a contenere la spesa, ivi inclusa l'adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci".

L'art. 40 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2002), ha aggiunto che, in caso di inosservanza delle misure organizzative previste al punto 19 dall'accordo dell'8 agosto 2001, il livello di finanziamento dello Stato si sarebbe ridotto in danno delle Regioni inadempienti e l'art. 4 del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63 (Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture), ha esteso tale previsione anche agli anni 2002, 2003 e 2004.

La legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2003), all'art. 29, comma 2, ha espressamente confermato le disposizioni di cui all'art. 1, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge n. 347 del 2001, e all'art. 52, comma 4, ha incluso, ai fini dell'accesso al finanziamento statale previsto dall'accordo dell'8 agosto 2001 e dal decreto-legge n. 347 del 2001, ulteriori "adempimenti" a carico delle Regioni, tra cui l'adozione di misure volte a contenere le liste di attesa.

Questa Corte, investita della questione di costituzionalità di quest'ultima disposizione, con la sentenza n. 36 del 2005 ha ritenuto costituzionalmente ammissibile che il Legislatore statale subordinasse il proprio finanziamento a siffatte misure, tenendo conto "del complessivo quadro normativo e delle relazioni fra Stato e Regioni ai fini del contenimento della spesa sanitaria e degli oneri a carico del servizio sanitario nazionale", nella perdurante assenza di una organica attuazione dell'art. 119 Cost.

Ciò mentre, peraltro, alcune entrate regionali venivano temporaneamente ridotte: l'art. 3, comma 1, lettera a), della stessa legge n. 289 del 2002 sospende gli effetti di eventuali aumenti delle addizionali IRPEF e delle maggiorazioni IRAP e l'art. 2, comma 21, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2003), proroga questa sospensione al 31 dicembre 2004. Solo con l'art. 1, comma 175, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2004), queste addizionali sono state sbloccate, esclusivamente in relazione alla spesa sanitaria, divenendo persino automatiche ed obbligatorie in caso di ulteriore sfondamento dei livelli previsti di spesa (art. 1, comma 174).

In questo stesso contesto di recupero delle entrate regionali, l'art. 1, comma 164, della legge n. 311 del 2004 non solo fissa i nuovi tetti di spesa per il triennio 2005-2007, ma prevede anche, "in deroga al decreto-legge n. 347 del 2001", lo stanziamento di ulteriori fondi statali per ripianare il disavanzo degli anni 2001, 2002 e 2003, peraltro subordinando espressamente (al comma 173) l'accesso a questi finanziamenti alla stipula di un'apposita intesa fra Stato e Regioni "che contempli, ai fini del contenimento della dinamica dei costi" tutta una serie di adempimenti sul piano organizzativo e finanziario (intesa in effetti conseguita il 23 marzo 2005: "Intesa ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in attuazione dell'art. 1, comma 173, della l. 30 dicembre 2004, n. 311"; fra le disposizioni di questo atto si ribadisce l'obbligo delle Regioni di garantire l'equilibrio economico finanziario del servizio sanitario regionale).

Infine, l'art. 1, commi 279, 280 e 281, della legge finanziaria per l'anno 2006, e cioè le disposizioni oggetto del presente giudizio, apportano ulteriori deroghe all'obbligo delle Regioni di provvedere alla copertura integrale dei disavanzi della gestione sanitaria a livello regionale, secondo quanto previsto dall'art. 4, comma 3, del decreto-legge n. 347 del 2001, stanziando nuovi fondi statali per contribuire al ripiano dei deficit 2002, 2003 e 2004 del servizio sanitario nelle diverse Regioni, ma subordinandone l'erogazione alle condizioni che hanno originato le attuali impugnative regionali.

Può essere significativo ricordare che tutta la materia del finanziamento del Servizio sanitario nazionale (ivi compreso il problema del ripiano dei deficit) è stata, ancora una volta modificata, in alcune parti (ma sempre con le medesime caratteristiche di fondo), successivamente alle impugnative che hanno originato il presente giudizio, dall'art. 1, commi 144, 796, 797, 798, 799, 805, 806, 807, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2007).

5. - Pur in una situazione di perdurante inattuazione dell'art. 119 della Costituzione (come questa Corte ha più volte rilevato: si vedano, fra le altre, le sentenze n. 222 del 2005, n. 37 del 2004 e n. 370 del 2003), la vigente legislazione di finanziamento del servizio sanitario nazionale trova origine in una serie di accordi fra Stato e Regioni, che spesso ne hanno anche successivamente sviluppato ed integrato la normativa, quantificando anche i corrispondenti livelli di spesa. La stessa offerta "minimale" di servizi sanitari non è unilateralmente imposta dallo Stato, ma viene concordata per taluni aspetti con le Regioni in sede di determinazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) (secondo quanto questa stessa Corte, con le sentenze n. 134 del 2006 e n. 88 del 2003, ha ritenuto costituzionalmente necessitato).

Pertanto non si può attribuire esclusivamente allo Stato la causa del deficit del servizio sanitario, giacchè, in larga misura, sia le prestazioni che le Regioni sono tenute a garantire in modo uniforme sul territorio nazionale, sia il corrispondente livello di finanziamento sono oggetto di concertazione tra lo Stato e le Regioni stesse.

Ciò tanto più in quanto le Regioni hanno riacquisito, per effetto del già ricordato art. 1, comma 175, della legge n. 311 del 2004, l'integrale disponibilità delle misure configurate dall'art. 4 del decreto-legge n. 347 del 2001, anche al fine di sanare i "disavanzi di gestione accertati o stimati nel settore sanitario".

D'altra parte, questa Corte ha già osservato, nella sentenza n. 36 del 2005, che gli eventuali conflitti che sorgano in questa materia vanno valutati "nel quadro della competenza legislativa regionale concorrente in materia di tutela della salute [...] e specialmente nell'ambito di quegli obiettivi di finanza pubblica e di contenimento della spesa, al cui rispetto sono tenute Regioni e Province autonome, ai sensi di una lunga serie di disposizioni di carattere legislativo e pattizio tra Stato e Regioni, le quali stabiliscono progressivi "adeguamenti" del concorso statale nel finanziamento della spesa sanitaria a fronte della realizzazione da parte delle Regioni di determinati impegni di razionalizzazione nel settore in oggetto".

Nell'ambito di questa legislazione, giova ribadire che l'art. 4, comma 3, del decreto-legge n. 347 del 2001 prevede che "gli eventuali disavanzi di gestione accertati o stimati [...] sono coperti dalle Regioni" e disciplina anche come le Regioni possano coprirli.

Le ricorrenti sostengono che il comma 280, nel subordinare il ripiano del disavanzo al raggiungimento dell'intesa sul Piano sanitario 2006-2008 e alla stipula di una particolare intesa fra Stato e Regioni sull'adozione di misure di contenimento dei tempi di attesa delle prestazioni sanitarie, violerebbero l'autonomia legislativa in materia di tutela della salute e l'autonomia finanziaria delle Regioni (le Regioni Liguria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Veneto si riferiscono anche alle corrispondenti funzioni amministrative in materia di tutela della salute, mentre la Regione Piemonte evoca soltanto l'art. 119 della Costituzione).

Cinque Regioni ricorrenti (Liguria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Toscana) sostengono analogamente che il comma 281, nel subordinare l'accesso al finanziamento statale per le Regioni che abbiano un deficit particolarmente grave alla stipula di un apposito accordo "per l'adeguamento alle indicazioni del Piano sanitario nazionale 2006-2008 e il perseguimento dell'equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza", violerebbe anch'esso l'autonomia legislativa e finanziaria delle Regioni.

In entrambi i casi, infatti, lo Stato, autore della legislazione sanitaria e responsabile della mancata attuazione dell'art. 119 della Costituzione, per rimediare in parte all'insufficienza del finanziamento nel settore, imporrebbe alle Regioni l'accettazione di una serie di vincoli ulteriori in materie di loro competenza.

Con riguardo alla Regione Friuli-Venezia Giulia, come si è già chiarito nel paragrafo 3.1, unitamente al principio costituzionale di autonomia finanziaria (motivato sulla base del solo art. 119, quarto comma, della Costituzione), vengono in considerazione le competenze in materia di "tutela della salute", ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione e dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in quanto più ampie rispetto alle prerogative statutarie in materia di "igiene e sanità, assistenza sanitaria ed ospedaliera" (sentenza n. 134 del 2006).

Le censure non sono fondate.

Sulla base delle premesse sopra svolte, lo speciale contributo finanziario dello Stato, (in deroga al precedente obbligo espressamente previsto dalla legislazione sul finanziamento del Servizio sanitario nazionale che siano le Regioni a coprire gli eventuali deficit del servizio sanitario regionale) ben può essere subordinato a particolari condizioni finalizzate a conseguire un migliore o più efficiente funzionamento del complessivo servizio sanitario, tale da riservare in ogni caso alle Regioni un adeguato spazio di esercizio delle proprie competenze nella materia della tutela della salute.

Nè può in alcun modo assumere rilievo il fatto che, mentre il contributo si riferisce ad un deficit pregresso, le condizioni siano imposte per il futuro, dal momento che (al di là del fatto che non si potrebbe fare altrimenti), con esse si persegue l'obiettivo di rendere il servizio sanitario più efficiente (permanendo pertanto il carattere "incentivante" del finanziamento, già sottolineato dalla sentenza n. 36 del 2005).

Nè può sottovalutarsi, altresì, che il parziale ripianamento del deficit da parte dello Stato permette che le risorse regionali, altrimenti destinate a coprire tale deficit, possano essere utilizzate autonomamente dalla Regione interessata per il miglioramento del proprio servizio sanitario.

La scelta delle Regioni di aderire alle intese ed agli accordi di cui ai commi 280 e 281 non può neppure ritenersi coartata, dal momento che le Regioni potrebbero pur sempre scegliere di non addivenire alle intese in questione, facendo fronte al deficit con i propri strumenti finanziari ed organizzativi.

D'altra parte, lo Stato, nel corso delle trattative finalizzate al conseguimento delle intese e degli accordi con le Regioni, è pur sempre vincolato anche dal principio di leale cooperazione, che non consente ad esso di valersi delle norme impugnate quale meccanismo di indebita pressione sulle Regioni, per imporre loro unilateralmente specifiche condizioni di attuazione delle finalità determinate dalla legislazione.

6. - Le Regioni Liguria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Veneto ritengono che sarebbe in ogni caso manifestamente irragionevole e contrario al buon andamento del servizio sanitario (artt. 3 e 97 della Costituzione) istituire un collegamento tra il ripiano di un disavanzo finanziario già verificatosi e l'adozione di misure che avranno efficacia in futuro, estranee alle cause del disavanzo.

Dal momento che si è appena escluso che le norme impugnate incidano in termini riduttivi sulla sfera delle competenze costituzionalmente protette delle Regioni, la censura è inammissibile: questa Corte ha infatti costantemente affermato che le Regioni "possono far valere il contrasto con norme costituzionali diverse da quelle attributive di competenza legislativa soltanto se esso si risolva in una esclusione o limitazione dei poteri regionali, senza che possano aver rilievo denunce di illogicità o di violazione di principi costituzionali che non ridondino in lesione delle sfere di competenza regionale" (sentenza. n. 116 del 2006; fra le molte, analogamente, sentenze n. 383 e n. 50 del 2005; n. 287 del 2004).

7. - Le Regioni Toscana e Campania impugnano il comma 280 e (quanto alla sola Toscana) il comma 281 dell'art. 1 della legge n. 266 del 2005, alla luce degli artt. 117 e 119 della Costituzione, sostenendo che essi precluderebbero "ogni rivendicazione futura su eventuali disavanzi (sorti negli anni passati per la sottostima del fondo sanitario nazionale e per assicurare i LEA)".

La doglianza, pur non molto perspicua, appare risolversi nella contestazione del fatto che lo Stato possa limitare il proprio contributo di copertura dei deficit alla misura indicata, senza considerare tutti gli effetti prodotti da precedenti sottostime del fondo sanitario nazionale e dai vincoli di spesa delle Regioni. Anche volendosi prescindere dal fatto che la censura avrebbe dovuto essere rivolta anzitutto contro il comma 279, che prevede solo un parziale contributo statale ma che le due ricorrenti non impugnano, nel merito è sufficiente richiamare le considerazioni sopra svolte circa il ruolo riconosciuto anche alle Regioni nella elaborazione ed attuazione della legislazione di finanziamento del servizio sanitario nazionale e circa il conseguente difetto di un obbligo costituzionale dello Stato di ripianare integralmente il deficit pregresso, per concludere nel senso dell'infondatezza della censura.

8. - La Regione Piemonte contesta che lo Stato possa legiferare sul finanziamento del servizio sanitario senza una "preventiva verifica ed accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni", dal momento che si opererebbe in un'area normativa caratterizzata da molteplici strumenti di leale collaborazione.

A prescindere dal rilievo per cui i parametri evocati a sostegno della doglianza (artt. 97 e 120 della Costituzione) appaiono del tutto inconferenti, la censura non è fondata, conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale le procedure di leale cooperazione possono applicarsi ai procedimenti legislativi "solo in quanto l'osservanza delle stesse sia imposta, direttamente od indirettamente, dalla Costituzione" (tra le molte, sentenze n. 196 del 2004 e n. 437 del 2001).