Ritenuto in fatto

(Corte costituzionale - 117 - 17 aprile / 1 giugno 2018)

1.- Con ricorso notificato il 30 maggio-8 giugno 2017 e depositato il successivo 6 giugno (reg. ric. n. 42 del 2017), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 4, lettere a), b) e c), 8, 10 e 30 della legge della Regione Campania 31 marzo 2017, n. 10 (Misure per l'efficientamento dell'azione amministrativa e l'attuazione degli obiettivi fissati dal DEFR 2017 - Collegato alla stabilità regionale per il 2017).

1.1.- L'art. 1, comma 10, della legge reg. Campania n. 10 del 2017 violerebbe gli artt. 81, terzo comma, 117, secondo comma, lettera e) - in materia di perequazione delle risorse finanziarie - e 120, secondo comma, della Costituzione, in tema di poteri sostitutivi, in relazione all'art. 2, comma 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stesso (legge finanziaria 2010)».

Premesso il contenuto del comma 10 - che stabilisce che «[n]elle more dell'attivazione del nuovo Policlinico Universitario di Caserta, al fine di incrementare i LEA della Provincia di Caserta, l'ASL e l'Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli", stipulano apposita convenzione volta a consentire l'utilizzo di spazi ospedalieri, per l'incremento di prestazioni aggiuntive a quelle già erogate» - il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia che la menzionata disposizione determinerebbe un incremento dei livelli essenziali di assistenza nella Provincia di Caserta, in contrasto con l'art. 2, comma 95, della legge n. 191 del 2009, che vieterebbe alle Regioni sottoposte al piano di rientro di adottare provvedimenti nuovi che possano ostacolarne l'attuazione.

L'incremento delle prestazioni aggiuntive, stabilito dalla norma in esame, determinerebbe, difatti, maggiori oneri a carico del Servizio sanitario regionale, in contrasto con la cornice programmatoria e finanziaria del Piano di rientro regionale, con conseguente violazione dell'art. 81, terzo comma, Cost., in base al quale ogni legge che importi oneri maggiori provvede ai mezzi per farvi fronte; dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in materia di perequazione delle risorse finanziarie e dell'art. 120, secondo comma, Cost., in tema di poteri sostitutivi.

Il ricorrente rammenta che questa Corte ha più volte affermato che la disciplina dei piani di rientro dai deficit di bilancio in materia sanitaria sarebbe riconducibile alla potestà legislativa concorrente ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e che quanto stabilito dall'art. 2, comma 95, della legge n. 191 del 2009, costituirebbe principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (è citata la sentenza n. 266 del 2016).

Inoltre, le funzioni del Commissario ad acta, nominato dal Governo e come definite dal mandato conferitogli, «devono restare, fino all'esaurimento dei compiti commissariali, al riparo da ogni interferenza degli organi regionali - anche qualora questi agissero per via legislativa - pena la violazione dell'art. 120, secondo comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 227 del 2015, n. 278 e n. 110 del 2014, n. 228, n. 219, n. 180 e n. 28 del 2013 e già n. 78 del 2011)» (sentenza n. 266 del 2016).

Ne deriverebbe, pertanto, l'illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, in quanto interferisce con i poteri affidati al Commissario ad acta dal Governo e con le attività svolte nell'attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario e costituisce menomazione delle sue specifiche attribuzioni.

La conclusione secondo la quale le funzioni amministrative del Commissario dovrebbero essere messe al riparo da ogni interferenza degli organi regionali sarebbe legittimata, secondo la predetta giurisprudenza, dal fatto che l'azione del Commissario ad acta sopraggiungerebbe all'esito della persistente inerzia degli organi collegiali e che l'esercizio del potere sostitutivo sarebbe imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell'unità economica della Repubblica e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale, qual è quello alla salute.

Tale interferenza sussisterebbe anche in presenza di interventi non previsti dal piano di rientro e che possono aggravare il disavanzo sanitario regionale o con l'introduzione di livelli di assistenza aggiuntivi non contemplati nel piano (è citata la sentenza n. 104 del 2013).

1.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, il comma 30 del medesimo art. 1 della legge reg. Campania n. 10 del 2017 - il quale, al dichiarato fine di tutelare e conservare le acque superficiali e sotterranee esistenti sul territorio regionale destinate al consumo umano, vieta la prospezione, la ricerca, l'estrazione e lo stoccaggio di idrocarburi liquidi e gassosi, nonchè la realizzazione delle relative infrastrutture tecnologiche nelle aree di affioramento di rocce carbonatiche, così come perimetrate ed evidenziate nella cartografia idrogeologica del Piano di Gestione delle Acque del Distretto Idrografico dell'Appenino Meridionale - che inciderebbe nelle materie «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» e «governo del territorio» di competenza concorrente, in violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in relazione, in particolare, all'art. 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

Nell'ambito di tali materie, difatti, lo Stato e la Regione eserciterebbero le proprie funzioni attraverso lo strumento dell'intesa in senso forte, in conformità al principio di leale collaborazione. Al contrario, il divieto unilaterale imposto dal legislatore regionale contrasterebbe con il suddetto principio «che impone il rispetto, caso per caso, di una procedura articolata, tale da assicurare lo svolgimento di reiterate trattative» (è citata la sentenza n. 117 del 2013), mentre la proibizione in esame equivarrebbe ad una «preventiva e generalizzata previsione legislativa di diniego di intesa» vanificando la bilateralità della relativa procedura (viene ancora citata la sentenza n. 114 del 2017 e sono inoltre richiamate le sentenze n. 39 del 2013, n. 179 del 2012, n. 33 del 2011, n. 121 del 2010 e n. 24 del 2007).

Peraltro, il ricorrente evidenzia che la disposizione prenderebbe in considerazione attività ontologicamente diverse tra loro, dal momento che, a differenza di quelle relative ad attività di estrazione e stoccaggio, le attività di prospezione e ricerca non comportano alterazioni dell'ambiente e, di conseguenza, non interferirebbero in alcun modo con la dichiarata finalità di tutelare e conservare le acque superficiali e sotterranee esistenti nelle aree di affioramento di rocce carbonatiche. Dette attività sarebbero comunque soggette alla valutazione di impatto ambientale, ai sensi del d.lgs. n. 152 del 2006 e, nel caso avessero implicazioni ambientali negative sulle aree di affioramento di rocce carbonatiche, non potrebbero ottenere, per ciò stesso, un giudizio positivo di compatibilità ambientale.

La disposizione censurata, infine, comporterebbe «il diniego implicito ex lege» dell'intesa regionale, già considerato illegittimo da questa Corte in relazione ad analoghe disposizioni in quanto: contrastavano con la normativa nazionale di riferimento; impedivano, di fatto, il rilascio della prescritta intesa da parte della Regione precludendo alle amministrazioni statali l'esercizio dell'azione amministrativa di loro competenza; violavano il principio di leale collaborazione (sono citate le sentenze n. 119 del 2010 e n. 282 del 2009, aventi ad oggetto la realizzazione di impianti eolici e n. 331 del 2010, in materia di impianti nucleari).

Più in generale, questa Corte avrebbe affermato che in nessun caso la Regione potrebbe utilizzare «la potestà legislativa allo scopo di rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge dello Stato che ritenga costituzionalmente illegittima, se non addirittura dannosa o inopportuna» (sono citate le sentenze n. 331 del 2010 e n. 198 del 2004).

La natura concorrente della potestà legislativa in questione dimostrerebbe, inoltre, come già affermato da questa Corte, la ragionevolezza di una scelta legislativa che preveda l'intesa tra Stato e Regioni interessate per le «determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi» (sono richiamate le sentenze n. 117 del 2013, n. 124 del 2010 e n. 282 del 2009). Inoltre l'art. 1, commi 7, lettera n), e 8, lettera b), numero 2, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonchè delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), che individuano nell'intesa lo strumento collaborativo, sono stati ritenuti principi fondamentali in materia (sono citate le sentenze n.117 del 2013, n. 124 del 2010, n. 282 del 2009 e n. 383 del 2005).

Analogamente, sarebbero afferenti alla medesima materia di potestà legislativa concorrente anche l'art. 29, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), che riserva allo Stato funzioni amministrative e autorizzatorie in materia di impianti costituenti parte della rete energetica nazionale (sono citate le sentenze n. 313 del 2010 [recte: 331 del 2010] e n. 383 del 2005) e la disciplina relativa ai procedimenti di autorizzazione di infrastrutture lineari energetiche contenuta nel decreto legislativo 27 dicembre 2004, n. 330 (Integrazioni al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, in materia di espropriazione per la realizzazione di infrastrutture lineari energetiche).

Dette norme avrebbero ridefinito in modo unitario i procedimenti di autorizzazione delle maggiori infrastrutture lineari energetiche in considerazione della necessità di riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali nell'esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative (è richiamata la sentenza n. 6 del 2004). La competenza legislativa statale in questi casi sarebbe dunque effetto della "chiamata in sussidiarietà" e la previsione di forme di collaborazione e coordinamento con le autonomie ne sarebbe conseguenza fondamentale. Il necessario coinvolgimento delle Regioni di volta in volta interessate sarebbe pertanto assicurato mediante l'intesa in senso "forte", che garantirebbe a queste ultime una adeguata partecipazione.

1.3.- Anche l'art. 1, comma 4, lettere a), b) e c), della medesima legge regionale campana, che modifica il comma 237-quater dell'art. 1 della legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania (Legge finanziaria regionale 2011», è impugnato per violazione del riparto di competenze in materia di tutela della salute (art. 117, terzo comma, Cost.), e 120, secondo comma, Cost.

Secondo le menzionate disposizioni, il fabbisogno della rete ospedaliera andrebbe soddisfatto prioritariamente tramite le strutture private provvisoriamente accreditate, tenendo conto dell'organizzazione dei servizi ospedalieri di diagnosi e cura offerta in regime di accreditamento provvisorio, con le correlate prestazioni ospedaliere erogate nell'ambito delle specialità espresse e riconosciute. In caso di sussistenza di ulteriore fabbisogno non destinato alle strutture pubbliche, verificato agli esiti della definizione dei procedimenti di accreditamento definitivo delle strutture sanitarie e sociosanitarie secondo la predetta legge reg. Campania n. 4 del 2011, le strutture già autorizzate ed in possesso dei requisiti tecnico-sanitari, nonchè in possesso degli ulteriori requisiti previsti per l'accreditamento istituzionale, possono essere accreditate fino alla copertura del fabbisogno dei posti letto dando priorità al raggiungimento della soglia dei 60 posti letto di cui al punto 2.5 dell'Allegato 1 al decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera).

Secondo il ricorrente, l'organizzazione ospedaliera dovrebbe, invece, essere rapportata ai fabbisogni attuali e delineata secondo quanto disposto dai vigenti provvedimenti di riorganizzazione della rete ospedaliera regionale, adottati in attuazione dei Programmi operativi 2016-2018 e non tramite le strutture private accreditate in via provvisoria, come, invece, previsto nella norma regionale impugnata che, dunque, contrasta con il citato d.m. n. 70 del 2015 ed, in particolare con il punto 2.5. dell'Allegato 1.

La ratio della disposizione di cui al menzionato punto 2.5 dell'Allegato 1 al d.m. citato sarebbe, difatti, quella di realizzare l'efficientamento della rete ospedaliera, attraverso un processo che preveda il superamento della parcellizzazione delle strutture erogatrici, il cui numero dovrebbe essere contenuto in rapporto ai bacini di utenza, operando, se necessario, i ridimensionamenti utili a ricondurre le strutture sanitarie entro un numero definito in base all'utenza.

Da quanto precede deriverebbe l'illegittimità delle citate disposizioni, in quanto interferiscono con i poteri del Commissario ad acta e con le attività svolte nell'attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario e costituiscono menomazione delle specifiche attribuzioni.

Anche in tal caso, dunque, le funzioni amministrative del Commissario dovrebbero essere messe al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, dal momento che l'azione del Commissario ad acta sopraggiungerebbe all'esito della persistente inerzia degli organi collegiali e che l'esercizio del potere sostitutivo sarebbe imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell'unità economica della Repubblica e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale, qual è quello alla salute.

1.4.- Infine, l'art. 1, comma 8, della legge reg. Campania n. 10 del 2017 - che prevede che, su istanza dei laboratori di analisi che hanno già aderito ad una aggregazione nell'ambito del riassetto della rete, la competente Azienda sanitaria locale (ASL), acquisito il parere del Commissario ad acta, può prorogare i termini per gli adempimenti intermedi previsti dai decreti del suddetto Commissario, fissando, altresì, il termine finale per il conseguimento della soglia minima di 200.000 prestazioni per anno al 30 giugno 2018 - sarebbe parimenti lesivo dell'art. 117, terzo comma, in materia di tutela della salute e dell'art. 120, secondo comma, Cost., in riferimento all'art. 1, comma 796, della legge n. 296 del 2006.

Secondo il ricorrente, la previsione di tale proroga sarebbe «generica», essendo il differimento del termine integralmente rimesso alla ASL, sia per quanto attiene all'an, sia per quanto attiene al quantum, e non sarebbe coerente con i piani di programmazione regionale. Essa inoltre si porrebbe in contrasto con l'art. 1, comma 796, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», che ha definito una serie di disposizioni per garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009; la lettera o) del citato comma 796 ha previsto, peraltro, che «le regioni provvedono, entro il 28 febbraio 2007, ad approvare un piano di riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio, al fine dell'adeguamento degli standard organizzativi e di personale coerenti con i processi di incremento dell'efficienza resi possibili dal ricorso a metodiche automatizzate».

In attuazione di dette disposizioni, è stato, quindi, adottato l'accordo Stato -Regioni del 23 marzo 2011 nel quale, tra l'altro, è stata ribadita la previsione di una soglia minima di attività nei criteri di accreditamento, al di sotto della quale non si può riconoscere la prevista idoneità di produttore accreditato e a contratto.

La Regione Campania, con la disposizione in esame, non avrebbe rispettato dette soglie. Inoltre, per quanto specificamente collegato al Piano di rientro dal disavanzo sanitario, detta disposizione contrasterebbe anche con quanto disposto dal crono-programma stabilito nel Programma Operativo 2016-2018 (adottato con determinazione del Commissario ad acta n. 14 del 1° marzo 2017), che ha previsto le aggregazioni per almeno la metà dei laboratori entro il 30 giugno 2017 e per il totale dei laboratori entro il 31 dicembre 2017.

Anche l'art. 1, comma 8, della legge n. 10 del 2017, sarebbe, dunque, in contrasto con la programmazione del Piano di rientro regionale e, in particolare, con il punto 2.5. dell'Allegato 1 al d.m. n. 70 del 2015, con conseguente illegittimità costituzionale, in quanto interferirebbe con i poteri del Commissario ad acta e con le attività svolte nell'attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario, nonchè menomerebbe le sue specifiche attribuzioni.

Come per le altre disposizioni, dunque, le funzioni amministrative del Commissario ad acta dovrebbero essere messe al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, dal momento che la sua azione sopraggiungerebbe all'esito della persistente inerzia degli organi collegiali, e che l'esercizio del potere sostitutivo sarebbe imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell'unità economica della Repubblica e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale, qual è quello alla salute.

2.- La Regione Campania, nel costituirsi in giudizio, ha eccepito l'inammissibilità o la non fondatezza del ricorso.

2.1.- Con successiva memoria ha replicato alle deduzioni del Presidente del Consiglio dei ministri.

In particolare, con riferimento all'art. 1, comma 10, della legge reg. Campania n. 10 del 2017, ha innanzitutto rilevato che con decreto commissariale n. 8 del 2018, che richiama la sentenza del Consiglio di Stato, terza sezione, 7 maggio 2013, n. 2470, è stato approvato il Piano di riassetto della rete ospedaliera, il quale non ha fatto riferimento alla convenzione citata dalla norma impugnata, volta a consentire l'utilizzo di spazi ospedalieri da parte dell'Università Vanvitelli. Secondo la Regione Campania ciò dovrebbe comportare l'improcedibilità del ricorso «per tacita abrogazione della norma impugnata e mancata applicazione della stessa nel periodo».

In relazione all'art. 1, comma 30, della medesima legge regionale, la resistente evidenzia come la disposizione si sostanzierebbe in una legittima applicazione del "criterio di localizzazione", dal momento che essa non precluderebbe del tutto le menzionate attività, ma le consentirebbe in presenza di interessi particolarmente pregnanti, secondo quanto già affermato dalle sentenze n. 278 del 2010 e n. 331 del 2003.

In definitiva, la norma in esame sarebbe volta a preservare «interessi particolarmente pregnanti affidati alle cure del legislatore regionale», costituiti dalla tutela delle acque di fonte, minerali, idrotermali e dai fluidi geotermici che, ascritte al patrimonio regionale, sono conservate nelle rocce carbonatiche che costituiscono l'ambiente naturale più favorevole grazie alla loro elevata permeabilità e porosità.

In riferimento al comma 4, dell'art. 1, lettere a), b) e c), della medesima legge regionale campana, che modifica il comma 237-quater dell'art. 1 della legge reg. Campania n. 4 del 2011, la Regione resistente assume che, diversamente da quanto dedotto dal Presidente del Consiglio dei ministri, esso ricondurrebbe il menzionato art.1, comma 237-quater, al Piano Regionale di Programmazione della Rete Ospedaliera adottato, ai sensi del d.m. n. 70 del 2015, con decreto commissariale n. 33 del 2016.

Peraltro, il contenuto dell'art. 1, comma 4, in esame risulterebbe poi recepito nel «Piano regionale di Programmazione della rete ospedaliera ai sensi del D.M. 70 del 2015 2016-2018-Aggiornamento del 18 gennaio 2018» di cui al già menzionato decreto commissariale n. 8 del 2018, che ratificherebbe il menzionato articolo.

Infine, per quanto concerne l'impugnativa del comma 8 dell'art. 1 della legge reg. Campania n. 10 del 2017, esso non modificherebbe affatto l'impianto organizzativo della rete dei laboratori disciplinato dal decreto commissariale n. 109 del 2011 [recte: 2013]. La proroga ivi prevista, difatti, non si porrebbe in contrasto con il cronoprogramma dei progetti operativi, in quanto le richieste di "proroga" avanzate dai «Centri» e assentite dalle ASL dovrebbero comunque essere corredate dal parere del Commissario che sarà tenuto a garantire il rispetto del limite del 50 per cento delle aggregazioni.

Rammenta, infine, che già diverse proroghe erano state accordate (come con il decreto commissariale n. 83 del 2016 e altri) su invito del giudice amministrativo e in riscontro a richieste delle ASL, e resterebbe comunque fermo il termine ultimo al 2018, entro il quale concludere il processo.